[26/04/2007] Acqua
LIVORNO. L’intervento fatto ieri a Berlino da Luca Cordero di Montezemelo nel summit delle imprese del G8, ripropone il dilemma (stantio) se e come la politica deve o meno intervenire sull’economia.
Montezemolo sostiene - e non è la prima volta - che «ci sono troppe dichiarazioni politiche che frenano lo sviluppo. Noi non abbiamo bisogno di questo. Abbiamo invece bisogno di investire, perché investire significa crescere e la crescita significa benessere per il futuro della società».
Ma è lo stesso presidente di Confindustria che sempre da Berlino, lancia l’allarme per il settore industriale a causa della crisi idrica, che già si preannuncia particolarmente grave, richiamando indirettamente le responsabilità di governo nella gestione del problema e a dirimere quella che si preannuncia una vera e propria guerra tra i diversi settori economici per l’approvvigionamento idrico, con al centro la inderogabile – per legge oltre che per dovere etico - necessità di garantire l’uso pubblico dell’acqua.
Una crisi senza dubbio accentuata dai cambiamenti climatici in corso, ma che come ricorda l’attuale presidente del Coviri, Roberto Passino, già segretario dell’Autorità di bacino del Po, è annunciata da tempo, dato che da tempo si conoscono sia gli effetti dei cambiamenti climatici sia il progressivo aumento dei consumi idrici. E quindi dice Passino è necessario «cambiare le regole del governo delle acque».
Ecco quindi che torna il nodo delle regole e della necessità di intervento da parte della politica sull’economia, o meglio non tanto se la politica debba o meno intervenire sull’economia, ma come debba farlo.
Il problema della siccità si presta molto bene ad analizzare questo nodo, che riguarda più in generale le modalità attraverso le quali la politica interviene a dettare le regole sul prelievo delle risorse. E su come questo possa avere un riflesso in positivo – non solo dal lato della salvaguardia ambientale e quindi di futuro per le generazioni a venire - ma anche come elemento di garanzia di stabilità produttiva per le imprese. Garantendone quindi il futuro anche in termini di possibilità di investimenti, che come dice Montezemolo rappresentano «benessere per il futuro della società».
Il problema della carenza delle risorse da ripartire in un momento di crisi come quello che già si preannuncia nella stagione in corso, e che ancor più lo sarà in quella prossima, rappresenta un problema strutturale del nostro paese, reso più grave dalle scarse precipitazioni (piogge e neve), per effetto del surriscaldamento climatico. Ma il problema strutturale e della distribuzione della risorse è a monte della crisi congiunturale ed è noto.
Dati storici sul sistema acquedottistico del nostro paese indicano una percentuale media delle perdite di circa il 30%, che diventa il 42% dall’analisi fatta da Legambiente su un campione di cento città. Ogni minuto la rete italiana – dice Legambiente - perde 6 milioni di litri d’acqua, quanta ne basterebbe per riempire due piscine olimpioniche.
Cinquanta mila chilometri di queste reti andrebbe completamente rifatte, con la necessità di reperire una mole di investimenti che è stata invece ridotta nel corso degli anni, passando da 2,3 miliardi (calcolati in euro)investiti nel 1985 agli attuali 700 milioni.
Richiamando quindi la necessità - più volte paventata dagli ambientalisti - di investire molto di più in opere infrastrutturali necessarie al paese - tra cui appunto quelle che attengono all’uso della risorsa idrica - piuttosto che inseguire progetti faraonici come quello del ponte sullo Stretto di Messina tanto per citarne uno, su cui sono state buttate al vento enormi risorse economiche e altre ne dovranno essere spese per sostenere i costi di risarcimento alle imprese coinvolte, dal momento che l’opera non si farà più.
Come è altrettanto necessario – e anche questo compito spetta alla politica - definire come la risorsa idrica debba essere ripartita e a quali costi: «non dimentichiamo- dice infatti Mauro D’Ascenzi, presidente di Federutility (l’associazione che riunisce il 90% dei gestori dell’acqua per usi civili) - che la parte di gran lunga maggioritaria dell’acqua viene consumata dall’agricoltura». E che - potremo aggiungere - in questo settore le tariffe non sono a consumo ma a forfait. E che spesso l’acqua viene utilizzata per irrigare colture che non terrebbero da sole il mercato, se non sovvenzionate con fondi pubblici.
E qui le imprese se ne guardano bene dal reclamare distanza dalla politica che invece è chiamata ad intervenire. Come è chiamata ad intervenire con risarcimenti economici, qualora il settore agricolo dovesse subire perdite a causa della siccità incombente.
Ma se vi fosse stato a monte, e per tempo, un intervento della politica, forse non si sarebbe costretti adesso a prevedere piani di emergenza e incrociare le dita nella speranza che nei prossimi dieci giorni arrivino le piogge.
Questo è infatti il termine temporale che è stato deciso dal governo per definire se scatterà o meno l’allarme siccità e se nel consiglio dei ministri del 4 maggio dovranno decidere di far partire la cabina di regia per governare l’emergenza.
«Mancano investimenti strutturali, non si pensa mai al futuro, corriamo al riparo a danni fatti» dice Cordero di Montezemolo. Già. Ma quando gli ambientalisti sostenevano che la più grande opera pubblica era la manutenzione del territorio e il ripristino della funzionalità delle reti, soprattutto nel mezzogiorno, lui si faceva alfiere dello sperpero di denaro per la realizzazione di opere assolutamente inutili come il ponte, appunto, che andranno ad impinguare, comunque, le casse di una delle società da lui dirette.
(la vignetta è stata realizzata da Joshua Held ed è tratta dal sito dell´Aduc)