[08/05/2007] Comunicati

Scalia: sul riscaldamento meglio le ricette delle accademie delle scienze dell´Ipcc

LIVORNO. L’energia nucleare attualmente installata a livello planetario rappresenta il 16% dell’energia elettrica prodotta il 30% in Europa, secondo i dati dell’Aiea ma, secondo le indicazioni del terzo capitolo del quarto rapporto Ipcc presentato lo scorso fine settimana a Bangkok, sulle tecnologie da favorire per fermare il surriscaldamento climatico, potrebbe aumentare prossimamente. Per far fronte al problema del contenimento delle emissioni di anidride carbonica, che lo stesso panel di scienziati riuniti sotto l’egida dell’Onu raccomanda per ridurre di due gradi centigradi il surriscaldamento del pianeta ed evitare quindi la crisi climatica planetaria, assieme al risparmio energetico e all’utilizzo di carbone associato a sistemi di captazione della anidride carbonica prodotta, c’è infatti anche il ricorso al nucleare.

Abbiamo chiesto a Massimo Scalia (Nella foto), cosa ne pensa delle conclusioni di questo rapporto Ipcc.

«Intanto vale la pena ricordare che l’Ipcc è un tavolo costituito da tecnici nominati dai governi e quindi più esposto alle pressioni e agli interessi dei vari governi nazionali, in secondo luogo gli scenari Ipcc sono standardizzati da tempo e non vi sono molte novità nelle previsioni presentate nei vari rapporti. All’Ipcc va riconosciuto senza dubbio il merito di avere acceso vent’anni fa il riflettore sul legame energia –combustione dei fossili-cambiamenti climatici. Ma le correlazioni dall’Ippc nelle evoluzioni temporali proposte dagli scenari ingenerano l’illusione che i cambiamenti avverranno in modo graduale e lineare. Non è così. Non a caso il testo edito dalla National research council dell’Accademia delle scienze americana nel 2002 si intitola “abrout climate change” e modifica profondamente in questo senso il paradigma della climatologia: il global warming è un effetto forzante che può rompere l’equilibrio del clima e i dati di esposizione ci confermano che stiamo già vivendo una fase di instabilità. E questa considerazione è incompatibile con scenari graduali e lineari».

Ma sulle strategie tecnologiche indicate cosa ne pensa?
«Dal punto di vista della ricetta, di nuovo penso che sia più significativo fare riferimento ai due statement 2005 2006 delle Accademie delle scienze dei paesi del G8 più Cina, India , Brasile e Sud Africa, che dopo aver indicato le maggiori sfide dei cambiamenti climatici denunciano il loro collegamento con l’energia, richiedono azioni immediate (prompt actions) e indicano nel risparmio energetico la strada maestra per rapidità ed efficacia di risultati, a patto di una forte cooperazione internazionale e di vigorose politiche nazionali».

Quindi vuol dire che la scienza con la “s” maiuscola è meno sottoposta alle pressioni politiche.
«Anche nella preparazione di questa presa di posizione delle accademie delle scienze si è verificato un duro scontro tra posizioni e interessi diversi però la comunità scientifica è riuscita ad individuare la priorità fondamentale e soprattutto a proporla con una “sola voce” ai grandi decisori politici durante il G8 di San Pietroburgo. E, direi, con risultati significativi. Blair non è certo un ecologista ma propone una riduzione del 60% delle emissioni entro il 2050».

Sì ma anche lui pensa di avvalersi dell’energia nucleare.
«Su questo ricorso al nucleare è bene ricordare alcuni dati, per fare chiarezza.
Se fosse raddoppiata entro il 2020 la potenza nucleare, ovvero si costruissero oltre alle 440 centrali nucleari esistenti, altre 400 centrali da 1000 Mw, si avrebbe come risultato la riduzione di un solo 5% delle emissioni di Co2. Se guardiamo alle previsioni della Aiea, si evince che quelle previste sono solo altre 50 centrali nucleari entro il 2020. E tra l’altro, se si prevedesse di costruire ulteriori 400 centrali nucleari da 1000 megawatt, per abbattere ricordiamolo solo il 5% delle emissioni di Co2, a parte ogni considerazione sul nucleare e sui problemi che pone, significherebbe esaurire la fonte primaria di combustibile, cioè l’uranio. La stessa Aiea, infatti, nello studio del 2001 valutava in 35 anni le riserve operative dell’uranio ai ritmi di consumo del 2001. Quando la potenza nucleare era di 360 gigawatt. Ma la costruzione di 400 centrali non rientra nei piani di governi ed entro il 2020 si faranno, semmai, le 50 previste e probabilmente la maggior parte sarà in Cina e India , e questo corrisponde ad una riduzione della Co2 inferiore all’1%».


E sull’utilizzo del carbone affiancato da centrali di captazione della CO2, non le sembra che anche in questo caso si indichi una tecnologia del futuro a fronte di un problema che è ormai di oggi?
«Certo, la risposta per i prossimi anni è quella della comunità scientifica - il “risparmio” energetico - e quella dell’Europa, con quella vera e propria rivoluzione energetica sottesa ai tre 20%. Ma guardo con interesse e con favore all’impegno della UE nella ricerca e nelle tecnologie del “sequestro” della CO2 - un po’ meno futuribili di quanto non si pensi - perché i due massimi consumatori di carbone, Stati Uniti e Cina raggiungeranno entro i prossimi tre anni la stessa quota di emissioni climalteranti, poco meno della metà di quelle di tutto il mondo. O ci si pone rimedio, o si dovrà lasciare il campo ai teorici dell’ “adattamento”, a partire da Venezia».

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