[15/05/2007] Consumo

Il moltiplicatore del reddito

LIVORNO. Il mio ultimo intervento su greenreport.it si concludeva con alcune domande circa la sostenibilità di breve periodo di un programma di governo “di sinistra”, volto al riassorbimento della disoccupazione e della mala-occupazione attraverso la produzione di beni con forti caratteristiche di bene pubblico (tra i vari esempi consideravo anche i sistemi di depurazione delle acque, letteralmente vitali in molte parti del mondo) e beni atti a soddisfare le domande inespresse sul mercato dalle fasce più deboli della popolazione. Se al fine di realizzare un simile programma il governo ha bisogno di prestiti, questo significa sottrarre risorse che sarebbero state disponibili per altri usi? Ovvero creare occupazione da una parte al prezzo di una maggior disoccupazione dall’altra?

E se invece il governo (la banca centrale) stampasse moneta per finanziare il progetto, cioòsi tradurrebbe necessariamente in maggior inflazione? Consideriamo ad esempio la costruzione di una scuola elementare o di un magazzino locale per la conservazione del grano in un certo numero di villaggi di un paese povero, distanti dalla città. Un intervento auspicabilissimo in molti paesi poveri, specialmente africani, dove il bisogno di garantire l’istruzione ai propri figli o di disporre di cibo a buon prezzo nelle stagioni lontane dal raccolto non riesce a tramutarsi in domanda di mercato.

Questo progetto ovviamente stimolerà la domanda dei beni necessari alle costruzioni in questioni, acciaio, cemento, ecc. Allo stesso tempo, i lavoratori assunti per realizzare il progetto utilizzeranno il salario ricevuto per domandare generi alimentari, vestiti, istruzione per i figli che prima non potevano garantire, ecc... In questo modo i datori di lavoro e i lavoratori che forniscono acciaio, cemento, generi alimentari, vestiti, ecc. utilizzeranno i profitti realizzati e i salari ricevuti per domandare più beni e servizi. E così via.

In questo modo, attraverso questo processo che gli economisti definiscono “moltiplicatore del reddito”, il reddito complessivo dell’economia cresce, non è più lo stesso di quello prevalente al momento di decidere il progetto governativo di espansione dell’occupazione. Come dire: non è vero che siccome la torta dell’economia è di dimensioni date allora utilizzare risorse (fette di torta) per realizzare il programma di governo significa sottrarre quelle stesse fette ad altri usi. La torta, grazie al moltiplicatore del reddito attivato dal progetto governativo, è più grande di prima.

C’è solo un caso in cui questo meccanismo del moltiplicatore del reddito non funziona: quando la capacità dell’economia in questione di produrre acciaio, generi, alimentari, vestiti, ecc. è già pienamente sfruttata. Non esiste neppure un lavoratore disoccupato e tutte le imprese stanno facendo girare i loro macchinari al massimo ritmo possibile. Ora, al di là del fatto che si tratta in molti casi di una ipotesi irrealistica, il punto è che se fosse vera non cominceremmo neppure la nostra discussione. Se non c’è nemmeno un disoccupato in giro, un programma di riassorbimento della disoccupazione non avrebbe senso. Se poi l’offerta di qualcuno fra i beni citati nel nostro esempio dovesse effettivamente essere limitata, c’è sempre l’opzione, almeno per i paesi non eccessivamente indebitati verso l’estero, di soddisfare la domanda di quei beni attraverso le importazioni.

A questo punto, essendoci sbarazzati di questa prima possibile obiezione al programma governativo – l’impiego di risorse per certi usi non penalizza gli altri possibili usi – è giunto il momento di affrontare l’altra possibile obiezione. La si può riassumere così: bene, d’accordo, abbiamo capito che il governo si può indebitare per realizzare il suo lodevole e condivisibile programma e che, grazie al moltiplicatore del reddito, questa scelta, di per sé, non svuoterà le tasche di chicchessia. Nessuno, lo abbiamo capito, vedrà direttamente compromessi i propri piani di investimento a causa dell’indisponibilità di risorse assorbite dal piano governativo. Ma in ogni caso, all’inizio di quel piano e quindi prima che si sia attivato il moltiplicatore del reddito, il governo i soldi per realizzare il proprio piano li deve trovare. E c’è poco da inventare: o aumenta le tasse, o ricorre attraverso la Banca Centrale alla stampa di nuova moneta o emette titoli pubblici indebitandosi verso coloro che decidono di sottoscriverli.

Dunque, almeno all’inizio di quel piano, le risorse a qualcun le sottrae eccome: o a chi deve pagare quelle tasse, oppure – per via dell’inflazione che si genera con la stampa di nuova moneta – a tutti i consumatori che pagheranno prezzi più elevati oppure, infine, a tutti i soggetti indebitati (pensiamo per esempio a chi deve pagare le rate del mutuo per la casa o per l’automobile) i quali, a causa della concorrenza esercitata dal governo nel cercare di ottenere prestiti sul mercato del credito, dovranno pagare tassi di interesse più elevati (perché quando cresce il numero dei soggetti che cercano di ottenere prestiti i tassi di interesse aumentano). Questa seconda obiezione sembra assai più solida della prima, io credo che in qualche modo effettivamente lo sia. E’, diciamo così, un’obiezione di grande importanza. Ad essa e solo ad essa dedicherò il prossimo intervento, perché ci porta a mio giudizio al cuore del problema: il conflitto fra portatori di interessi diversi. Da un lato i poveri, i disoccupati, l’ambiente. Dall’altro gli investitori sui mercati finanziari. Un tema davvero cruciale.

Torna all'archivio