[16/05/2007] Rifiuti

Tutti i segreti delle bioplastiche

FIRENZE. Il petrolio è una risorsa non rinnovabile con costi politici ed ambientali molto alti che si riflettono anche sul prezzo. Prima o poi la produzione di petrolio andrà in declino e quindi è necessario attrezzarsi. Da questa considerazione condivisa, sono partiti molti dei contributi dei numerosi relatori intervenuti al seminario “La sfida delle bioplastiche” organizzato da l’Ordine dei chimici della Toscana insieme a HydroGea vision. «La chimica di sintesi durante lo scorso secolo ha dato un contributo positivo inventando la plastica - afferma nell’intervento introduttivo Lario Agati, presidente dell’Ordine dei chimici della Toscana - oggi quella stessa plastica la “combattiamo” perché non siamo riusciti a chiudere il ciclo dei rifiuti. Quindi ci siamo rivolti nuovamente alla chimica per avere plastiche biodegradabili».

Gli organizzatori del seminario sottolineano l’importanza dell’aspetto culturale, informativo e formativo su una materia ancora poca conosciuta che necessita anche che si sviluppino nuove sensibilità per vincere la “sfida” con la chimica tradizionale. La storia della bioplastica è tutto sommato recente: sono passati meno di 20 anni da quando sono state svolte le prime ricerche per lo sviluppo di prodotti chimici a basso impatto ambientale. Attraverso un percorso che ha visto una rapida innovazione di processo e di prodotto, attualmente sono molti i settori che utilizzano le bioplastiche: alimentare, agricolo, medico... La sostenibilità ambientale della bioplastica è data dal fatto che è compostabile, insieme alla frazione organica dei rifiuti ed entra quindi nel ciclo della raccolta differenziata.

«I biopolimeri (o bioplastiche)- chiarisce Lorenzo D’avino dell’Istituto Sperimentale per le Culture Industriali- possono essere di origine sintetica oppure derivanti da materiali di origine vegetale e quindi rinnovabili come l’amido, l’acido polilattico (pla) derivato da zuccheri, la cellulosa o la lignina. Di estremo interesse ambientale sono le sperimentazioni per produrre biopolimeri da materiali di scarto, come ad esempio quelli derivanti dall’industria agroalimentare». D’avino si sofferma poi sui tipi di prodotti in bioplastica: sacchetti, imballaggi, pneumatici, protesi biomedicali, vasetti per piante «quasi tutti i tipi di plastiche convenzionali sono sostituibili da Bp, tuttavia a causa del prezzo maggiore sarebbe opportuno sviluppare in particolare quei settori in cui la biodegradabilità conferisce un valore aggiunto al prodotto». D’avino ha portato l’esempio dei teli per la pacciamatura in mater-bi dove l’agricoltore, anziché sostenere il costo di rimozione del telo e il successivo costo di smaltimento (considerato rifiuto pericoloso a causa della presenza di fertilizzanti), può interrarli con fresatura beneficiando anche dell’azione fertilizzante dei Bp.

D’avino sottolinea i possibili sviluppi del settore «La concorrenza, ad oggi, sul piano economico, con le plastiche tradizionali è molto difficile, almeno senza poter beneficiare di forme di sostegno da parte dell’amministrazione pubblica, che tra l’altro sarebbero giustificate dall’internalizzazione dei costi ambientali: come dimostrano studi sul ciclo di vita dei prodotti, l’utilizzo dei Bp determina benefici ambientali sia in termini di energia consumata e di risparmio di CO2. In Italia, a contrario di altri Paesi (vedi Germania), il settore dei Bp non beneficia di aiuto pubblico che dovrebbe essere attivato in particolare nel caso che i Bp nel loro destino post-consumo fossero avviati a compostaggio».

D’avino si sofferma poi sugli imballaggi ricordando che la finanziaria 2007, seguendo la strada di quanto avvenuto in Francia, ha vietato dal 2010 la commercializzazione dei sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci. «Importante è che si punti su prodotti effettivamente ecocompatibili (100% materie prime rinnovabili, Ogm free, compostabili) e proporli con chiarezza mediante campagne di sensibilizzazione ad un vasto target di soggetti. Infine - conclude D’avino - è importante sottolineare, come uno sviluppo dei Bp che comprenda l’agricoltura (colture dedicate da risorse rinnovabili, e patti di filiera) può incrementare l’interesse politico e dell’opinione pubblica nel mantenimento del territorio».

La materia, complessa, intreccia le politiche economiche ed ambientali ed inoltre ha una forte valenza per lo sviluppo della ricerca in diversi settori per innovazioni di processo e trasformazioni nei prodotti. Importante poi è il destino finale dei biopolimeri e come entrano nel ciclo dei rifiuti. La politica di pianificazione, di regolazione e di gestione, come più volte richiamato, deve essere parte attiva in questo processo che è ancora in fase iniziale. L’occasione di scambio formativo che è stata offerta oggi, non è stata colta dai vari soggetti che hanno a che fare con il ciclo dei rifiuti (province, ato, gestori) che tranne qualche mosca bianca erano assenti.

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