[24/05/2007] Parchi

Cts: «Action plan nazionali per difendere balene e delfini»

ROMA. «E’ necessario garantire alle balene e ai delfini dei nostri mari adeguate misure di conservazione attraverso appositi strumenti gestionali. Per questo chiediamo con forza al Ministero dell’Ambiente che vengano presto redatti e implementati degli action plan nazionali che consentano di ridurre le minacce su questi mammiferi marini che oltre a rappresentare una grande ricchezza in termini di biodiversità costituiscono anche una risorsa dal punto di vista socio economico”. L’appello è di Stefano Di Marco, vice presidente nazionale del Cts Ambiente.

Mentre sono in corso in Alaska i lavori dell’Iwc (International Whaling Commission) – spiega in una nota l’associazione - il Cts Ambiente lancia un grido d’allarme per le condizioni del Mediterraneo: quelle del Mare Nostrum non sono buone acque per i cetacei, anzi sono decisamente brutte e la situazione peggiore la ritroviamo proprio lungo le italiche sponde. La responsabilità di questa pagella, tutta in negativo, dal punto di vista di balene e delfini, ricade tutta su di una serie di fattori che, in maniera crescente, minacciano l’ecosistema marino. Fra questi primeggia l’overfishing, l’eccessivo prelievo ittico, i cui effetti sulle dinamiche delle catene alimentari risultano fatali per alcune specie come i delfini costieri; questa pratica decisamente insostenibile, infatti, fa sì che non solo il delfino abbia meno prede a disposizione, ma che le stesse siano oltretutto più piccole e meno nutrienti che nel passato.

Un caso esemplare, in tal senso, si è registrato alle Isole Pelagie, dove i risultati di un importante progetto Life Natura, promosso dal Cts e sostenuto dalla Commissione Europea e dal Ministero dell’Ambiente, hanno messo in evidenza, negli ultimi anni, il cattivo stato nutrizionale in cui versa la popolazione di tursiope oggetto di studio: ora, in assenza di altre specie che competono per le stesse risorse, è ragionevole ipotizzare che la causa di un simile deperimento sia una dieta più povera con minore disponibilità e peggiore qualità degli alimenti. Altro fattore di rischio per i cetacei del Mediterraneo restano le reti derivanti, le famigerate spadare.

Vere camere della morte per capodogli, delfini, squali e tartarughe che vi rimangono intrappolati, questi micidiali attrezzi da pesca continuano ad essere utilizzati di frodo nonostante il veto dell?Unione Europea che li bandì, per il loro estremo impatto ambientale, diversi anni fa. E? lo stesso CTS ad imbattersi, durante l’ultima campagna “Il Veliero dei Delfini”, in alcuni di questi pescherecci nelle acque della Sicilia, della Calabria, della Sardegna e della Toscana. Ulteriore conferma della recrudescenza del fenomeno sono i dati divulgati dalla Guardia che ha sequestrato, tra il 2005 e il 2006, oltre 1200 km di reti derivanti.

In un Mediterraneo di conflittì e tensioni, le spadare purtroppo, sono motivo d’unione: qualche giorno fa, in Francia, è stata scoperta dall’imbarcazione di ricerca Oceana Ranger, una vera e propria flotta di 80 pescherecci con reti derivanti dai 5 agli 8 km. Minimo comune denominatore di tutte le attuali difficoltà del Pianeta, i cambiamenti climatici non si esimono dal procurare perniciosi risultati anche sulla biodiversità mediterranea. Seppur senza l’evidenza di prove scientifiche certe, il riscaldamento della temperatura dell’acqua, l’alterazione del regime delle correnti e la riduzione della produttività degli ecosistemi potrebbero compromettere l’habitat dei Cetacei minacciandone la sopravvivenza.

A testimonianza di questi scenari inquietanti, i ricercatori del Cts Ambiente che osservano, da anni, la presenza di Balenottere comuni nello Stretto di Sicilia, hanno assistito con preoccupazione, negli ultimi tempi, al calo di krill (i piccolissimi gamberetti di cui si nutrono le balenottere) e alla ridotta presenza dei grossi cetacei laddove, viceversa, erano in passato presenti e copiosi. Da qui, le ragioni del loro impegno tutto rivolto ad indagare il fenomeno, per comprendere se esso derivi da normali fluttuazioni o se invece, come purtroppo si teme, debba essere correlato ad alterazioni artificiali nella produttività quale conseguenza delle attività dell’uomo e, soprattutto, degli sconvolgimenti climatici.

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