[28/05/2007] Comunicati

Neppure il permafrost dell´Alaska che si scioglie apre gli occhi agli Usa

LIVORNO. Se non fossero stati esaustivi i rapporti dell’Ipcc, per sedare eventuali dubbi sul fatto che i cambiamenti climatici sono ormai una realtà, basterebbe vedere le immagini della cittadina dell’Alaska che sta sprofondando nel fango perché il permafrost su cui poggia, ovvero lo strato di ghiaccio perenne, non è più tale e si sta sciogliendo a ritmi impressionanti. Tanto che il villaggio di Newtok, ormai intrappolato tra un fiume e una palude, anziché giacere sui ghiacci potrebbe essere cancellato nell’arco di un decennio.

Eppure dal rifiuto della ratifica del protocollo di Kyoto in poi, l’atteggiamento del governo Bush, come del resto ha fatto nel corso di tutti questi anni, è stato e continua ad essere quello che potremo riassumere in una parola: minimizzare.
Anche adesso infatti nei confronti del fatto che per effetto del riscaldamento globale, anche l’America si trova di fronte al problema di dover gestire profughi ambientali, ovvero persone destinate a lasciare i propri territori per l’impossibilità di continuare a viverci, continua ad avere lo stesso atteggiamento.

Non pone infatti tra le sue priorità il fatto di dover risolvere il problema di questo popolo di pescatori e cacciatori ai margini del circolo polare artico, dato che come ha annunciato la portavoce della Casa Bianca il budget previsto non è nemmeno un decimo di quello che servirebbe: un milione di dollari contro i 130 previsti per lo spostamento dell’intero villaggio. Pensando, in una logica purtroppo solita alla casa Bianca di Bush (che pensa alle persone più come a un numero che come parte di una comunità) che per economizzare sarebbe più semplice che gli abitanti di Netwok si redistribuissero nei tanti villaggi che esistono più a sud.
Non solo, ma non prende nemmeno a monito quanto sta succedendo già a casa propria, per cominciare ad assumere un impegno nelle politiche globali per contrastare l’avanzamento del surriscaldamento del pianeta.
E infatti è già pubblica la assoluta contrarietà degli Usa al documento comune che la Germania ha predisposto, in vista del summit dei G8 di giugno a Heiligendamm, sulla costa baltica tedesca.

Il documento voluto dal cancelliere tedesco Angela Merk, presidente di turno al parlamento europeo e che della battaglia al clima ha più volte dimostrato di farne una priorità politica- chiede ai paesi che fanno parte del G8 (Usa, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Canada, Italia e Russia) impegni vincolanti per una forte riduzione a tappe delle emissioni di gas serra nei prossimi anni.
Ma la lettera di risposta degli Usa, pubblicata venerdì sul Financial times, mette in evidenza il fatto che non vi è alcuna volontà di collaborazione.

Anzi le parole usate nel documento parrebbero addirittura tradire una forte irritazione da parte degli Usa, per i termini ed il linguaggio con cui la Germania avrebbe trattato l’argomento dei cambiamenti climatici. Ma soprattutto quello su cui gli Usa non sarebbero assolutamente d’accordo è il modo con cui si vorrebbe frenare l’effetto serra, ovvero con la diminuzione delle emissioni anziché con l’uso della tecnologia. E dal momento che “le nostre proposte sono state ignorate- si dice nella lettera Usa- la proposta tedesca per noi è inaccettabile”.
Mettendo quindi fortemente a rischio adesso il risultato del summit dei G8, e in futuro i negoziati per il dopo Kyoto. Ma questo però vuol dire porre una forte ipoteca sul futuro del pianeta.

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