[29/05/2007] Energia

Silvestrini: «I rigassificatori off shore sono strategici»

LIVORNO. C’è una parte del mondo ambientalista che contesta la necessità di utilizzare il gas nella fase di transizione, ovvero nel mentre si mettono a punto sia politiche di riduzione dei consumi energetici, sia di maggiore efficienza dei sistemi di produzione energetica, sia di implementazione delle energie rinnovabili. Così come previsto dall’accordo unilaterale e vincolante per gli stati membri dell’Unione europea, dei cosiddetti tre 20, raggiunto a marzo scorso dal vertice dei capi di Stato e di Governo.
Lo dimostra anche il contributo che pubblichiamo oggi sul nostro quotidiano e su cui abbiamo sentito il parere di Gianni Silvestrini (Nella foto), direttore di Quale energia e consulente del ministero dello sviluppo economico.

Silvestrini cosa risponde a chi afferma che non abbiamo bisogno di altro gas oltre a quello che già arriva attraverso i metanodotti?
«Credo che la necessità di approvvigionarsi di gas con soluzione diverse dai tubi sia strategica, poi si possono trovare e sperimentare anche altre tecnologiche rispetto alla liquefazione e rigassificazione. Ma che di fondo ci sia una alternativa al tubo è essenziale, anche perché altrimenti diventa difficile porre dei limiti al carbone, perché rispetto al gas offre due vantaggi: costa meno e dà sicurezza di approvvigionamento. E mentre il primo vantaggio potrebbe diminuire per l’aumento dei costi dei crediti di Co2, il secondo invece è più difficile che si riduca. Perché se per qualche motivo Russia e Algeria chiudono i rubinetti, per noi diventa un vero problema. C’è poi da considerare che una diversificazione degli approvvigionamenti ci dà anche maggiori poteri contrattuali. E l’ipotesi di maggior flessibilità adesso è l’ipotesi di andare via mare».

Una delle motivazioni che vengono portate da chi è contrario ai rigassificatori è anche quella della non necessità di gas se si investe davvero su risparmio ed efficienza.
«Nel medio periodo è improbabile farne a meno, come sistema di transizione. Se nei prossimi 20 anni si metteranno a punto le politiche dettate dall’Unione europea, sicuramente la quota potrà scendere. Si può discutere su quanto ce ne vuole, anche se in realtà sarà il mercato a decidere. Adesso abbiamo nei fatti un monopolio del gas da parte di Eni, su cui sta intervenendo anche l’Autorithy, se vi fossero anche altri concorrenti ci sarebbe ad esempio la possibilità di ridurre i costi. Comunque ripeto, dal punto di vista strategico, un paese che non ha nucleare e vuole ridurre l’uso del carbone deve utilizzare il gas».

E sui probabili rischi?
«Sui rischi, come tutte le attività umane non esistono rischi zero. Va detto però che sino ad ora non c’è stato nessun incidente che faccia supporre che il rischio sia elevato. Naturalmente bisogna agire per avere piena sicurezza. E quindi ad esempio prevedere certe distanze, perché nel caso del gas se ti poni a certe distanze puoi avere margini di sicurezza elevata. Ovviamente poi vi sono altri elementi di ricaduta che vanno considerati nelle scelte di dove collocari gli impianti: ad esempio quando rigassifichi a terra hai frigorie che possono essere utili per avviare altri tipi di attività legate alla catena del freddo».

Un´ultima domanda che volevo farle e che esula dal tema specifico, riguarda una sua valutazione su quali potranno essere le ripercussioni della bocciatura da parte degli Usa del documento finale del G8, messo a punto dal governo tedesco.
«Anticipo una mia riflessione su questo tema, che ho scritto nell’editoriale che uscirà su Quale energia a metà giugno.
Le resistenze a sottoscrivere il documento preparato dalla Germania, presidente di turno del G8, stupiscono e al tempo stesso sembrano inevitabili. Stupiscono considerato che gli Usa avevano negli ultimi mesi approvato i rapporti dell’Ipcc, che contengono indicazioni molto chiare sulle necessità di tagli radicali delle emissioni.
Sono nei fatti inevitabili, perché un conto è approvare un rapporto della comunità scientifica internazionale, altra cosa è dare il proprio avvallo ai più alti livelli politici a scelte drastiche di riduzione. Evidentemente la sottoscrizione di un documento chiaro e netto in sede dei G8 viene considerato troppo impegnativo per le discussioni sul post Kyoto. Lo scenario adesso è dunque quello di una spaccatura sul clima Usa-UE, cui si potrebbe aggiungere anche il Giappone, che farà slittare i negoziati sul post-Kyoto alla nomina del prossimo Presidente degli Stati Uniti».

Torna all'archivio