[27/02/2006] Consumo

Silvestri (Cgil) sui servizi: «Nanismo delle imprese e nanismo delle pubbliche amministrazioni»

FIRENZE. Dopo aver affrontato il tema della crescita e della sostenibilità ambientale della Toscana, con il presidente Claudio Martini, riproponiamo la tematica al segretario regionale della Cgil Luciano Silvestri (nella foto). Partendo dal periodo di “stagnazione-recessione economica” che sta affrontando la nostra regione, dove comunque, almeno secondo l’Istat, alcuni parametri come l’occupazione sembrano andare in controtendenza.

«La Toscana è una regione dove il declino industriale e produttivo ha colpito molto duramente l’economia e l’occupazione, che si è fortemente precarizzata e non è vero che siamo di fronte a un trend di occupazione stabile. Dietro i numeri c’è una sostanza molto pesante e cioè che dal 2002 al 2005 il ricorso all’indennità di disoccupazione è aumentata in modo molto forte: si lavora pochi mesi e poi si è di nuovo a casa. In questa situazione le famiglie si sono impoverite ed è venuta meno la certezza nel futuro. Per gli anziani la situazione non è migliore, quando si è espulsi dal ciclo produttivo a quell’età e in una fase di crisi è difficilissimo rientrare».

L’industria è la causa o l’effetto di questa crisi, che alcuni vorrebbero risolvere con la riconversione turistica?
«I dati purtroppo sono eloquenti. Noi abbiamo provato a fare una fotografia della crisi nel settore industriale: nel marzo 2005 circa 4mila lavoratori erano coinvolti in uno stato di crisi industriale, a dicembre 2005 erano già oltre 17mila, di cui la metà licenziati. Le aziende chiudono, per vari e diversi motivi ma chiudono, senza neppure tentare di presentare una sfida di riorganizzazione o innovazione. Siamo di fronte a una foresta che sta seccando e la ricetta non può che essere quella di piantare nuovi alberi e curare quelli che ancora sono sani. Altre ricette tipo “abbandoniamo il manifatturiero e puntiamo su turismo” mi sembrano una sciagura per questa regione, perché sul deserto non si costruisce nulla. E di sicuro non si risolve il problema con gettate di cemento per fare porticcioli».

Come rilanciare l´apparato produttivo toscano?
«Il nostro sistema è troppo piccolo per fare massa critica e investire in innovazioni di prodotto, e di processo. Prima infatti la Toscana poteva contare sulla svalutazione della lira per essere competitiva, ma ora si ritrova fuori da tutti i settori più avanzati: subisce la concorrenza dei paesi in via di sviluppo e non riesce a stare la passo con quelli più avanzati. E’ forse un caso che è il lavoratore tedesco ha un salario 30% più alto dell’Italia? Evidentemente c’è un valore aggiunto che consente margini per una redistribuzione del profitto anche alla base. Qui non è più cosi. Bisogna fare in fretta, perché vedo ancora una capacità di marcia molto lenta da parte degli industriali che preferiscono investire solo sul mattone e sulla rendita incentivati dalle politiche fiscali del governo centrale».

Tutta colpa del governo centrale, o anche gli enti locali ci mettono del loro?
«Oltre al nanismo delle imprese vedo anche un enorme nanismo della pubblica amministrazione toscana. Troppo spesso si litiga fra comuni ogni volta che si affaccia un qualsiasi progetto che mette insieme rifiuti, acqua, trasporti energia. Anche nei servizi pubblici avremmo bisogno di grandi investimenti, penso per esempio al 30% dell’acqua che si disperde. Penso allo smaltimento dei rifiuti, dove la più grande azienda toscana ha un fatturato di 73 milioni di euro, quando per costruire un termovalorizzatore di nuova generazione – lasciando da parte le considerazione legate alla sua utilità - ci vogliono 230 milioni. La conseguenza è che non siamo in grado di fare efficienza e si spende di più, perché si punta solo a moltiplicare i consigli di amministrazione, risolvendo problemi politici ma non quelli dei cittadini che si trovano tasse e tariffe sempre più alte. In Emilia si fa un’unica azienda di gestione di acqua, gas e rifiuti da 11mila addetti, e qui si litiga ancora fra un comune e l’altro, con 11 ato regionali dentro in quali ci sono 25 aziende che sgomitano per raccogliere rifiuti e sopravvivere . Io purtroppo non vedo all’orizzonte un modello toscano che invece il piano di sviluppo regionale dovrebbe mettere in campo».

I distretti possono ancora essere una risorsa per la Toscana?
«Proprio perché sul deserto non si costruisce, è necessario ripartire da quelli che erano i punti di forza: quindi bisogna riposizionare i distretti e anzi riorganizzarli in un’ottica di filiere produttive, cercando di riunire tutti i pezzi. Facciamo l’esempio del distretto più importante, quello pratese: bisogna riunificare la produzione della stoffa con abito finito, creando un’unica filiera che alzi la qualità dei prodotti e consenta al made in tuscany di esistere ancora. Oggi dobbiamo renderci conto che siamo di fronte a un fallimento, al fallimento di un modello che non esiste più. E come tutti i fallimenti se ne può uscire in tanti modi, c’è la possibilità di uscirne con un curatore fallimentare che assume su di sé tutti i poteri, e che è la soluzione che Berlusconi sta tentando di arrogarsi. Oppure se ne può uscire se i soggetti che il fallimento lo hanno subito, cioè le forze sane del territorio, quelle che hanno continuato a investire nelle innovazioni di processo e di prodotto, si mettono insieme e ricostruiscono insieme un modello, magari partendo già dal nuovo piano di sviluppo regionale».

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