[06/06/2007] Consumo

Low cost e flussi di materia

LIVORNO. «Oggi, per la priva volta, scegliendo la marca meno costosa, possiamo risparmiare sui prodotti e comprarne addirittura una quantità maggiore». E’ la legge del low cost, almeno così la intende Fedele de Novellis, economista del centro studi economici Ref, che oggi interviene sulle pagine del Sole24Ore. Dietro questa riflessione ci sta un mondo. Di rifiuti verrebbe da dire, ma andiamo con ordine.

La filosofia low cost non è molto distante da quella dell’usa e getta: nessuna attenzione alla sostenibilità e piede schiacciato sui consumi, che se non ripartono è un guaio serio per l’economia. La maggior parte dei prodotti di cui si parla, è quasi inutile ricordarlo, arriva dall’Asia e in particolare dalla Cina. A tutti sarà capitato di fare non solo la valutazione: «compro un oggetto non di marca così ne possono acquistare due al prezzo di uno»; ma anche «questo oggetto costa più ad aggiustarlo che a comprarlo nuovo»; oppure, «lo compro tanto costa solo pochi euro».

Le famiglie, intanto, fanno i conti con i debiti – si legge sempre sul Sole - e tornano a comprare principalmente vestiti e cibo. Il problema, secondo de Novellis, «è la scarsa produttività delle imprese, un deficit che si traduce in una riduzione dei salari reali e quindi in una bassa propensione ai consumi». Qualcuno potrebbe dire che si è scoperta l’acqua calda, visto che da sempre uno spende in base a quanto guadagna. Oggi però – leggendo le statistiche riportate dai giornali – anche chi non ha, compra. E si indebita con le rate. Perché non è più vergogna avere le cambiali da pagare anche se non riguardano la casa o l’auto, ma una tv o un apparecchio elettronico.

Quello che sfugge – nonostante se ne trovi notizia nello stesso quotidiano in un intervento di Alessandro Merli – è che tutti questi prodotti che in Occidente (perché nel resto del mondo le cose non vanno affatto così, per ora) si accumulano nelle nostre case sono fatti di materia. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma e degrada. Dunque più prodotti, più materia. Guarda strano infatti, «tutti gli indici delle commodity mostrano una lunga tendenza rialzista da inizio 2002 per effetto del forte aumento della domanda da parte di Cina e India, dei limiti all’aumento dell’offerta, delle tensioni geopolitiche su alcuni prodotti come petrolio e gas, oltre che del netto aumento della speculazione finanziaria delle materie prime».
Infatti la riduzione del rischio che si ottiene aggiungendo future sulle commodity, negli ultimi 30 anni, è aumentata.

L’Istat, tra l’altro, ha pubblicato ieri i dati sui flussi di materia in Italia dal 1997 al 2004 e una lettura approfondita può aiutare a capire bene il quadro generale. E non basta quindi occuparsi di quanta materia in Italia si preleva (teoricamente con un grande impegno si potrebbe arrivare anche a dati molto bassi), perché se poi l’Italia ne importa direttamente (materia) o indirettamente (prodotti) non cambia assolutamente niente. Se non si vuole dunque ridurre a semplice ginnastica intellettuale gli obiettivi di riduzione dei rifiuti, bisogna che si cominci a mettere mano al problema partendo da questi dati.

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