[08/06/2007] Aria

G8 e movimento: fra mediazioni lessicali e risultati evanescenti

LIVORNO. «E’ meno di quello che volevamo ma è il massimo che potessimo ottenere» è quanto ha dichiarato Angela Merkel a commento dell’esito del G8 riguardo agli impegni per il surriscaldamento del pianeta. Con un atteggiamento che descrive assai bene il pragmatismo più volte manifestato, il presidente di turno dell’Unione europea, sottolinea la situazione della governance mondiale. E rivendica il fatto che seppur modesto un risultato -che non era così scontato, dai prodromi del summit- c’è stato. L’obiettivo di porre misure vincolanti per frenare i cambiamenti climatici è stato infatti soppiantato dallo spostamento ancora più avanti nel tempo della necessità di prendere impegni veri e stringenti per quello che ormai non è più solo una previsione ma una realtà, dimostrata anche dalla catastrofe per il ciclone che ha colpito proprio in questi giorni l’Oman e l’Iran gran parte del Golfo. Ma adesso anche gli Usa non negano più l’evidenza e accettano il compromesso di ritornare ai negoziati sul clima sotto la cornice dell’Onu.

Un risultato che può essere visto come sempre come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Un flop annunciato da una parte ma dall’altra sarebbe stato difficile attendersi una apertura maggiore da parte di chi come gli Usa hanno sino a poco tempo fa negato l’esistenza del problema?

Ma dietro a questo risultato si può leggere anche una sorta di inadeguatezza del movimento altermondialista, nei confronti delle sfide che attendono il pianeta. Che si manifesta dimostrando di non essere capace di incidere né sulle politiche dei “grandi” del pianeta e né a quanto sembra di interpretare quello che sta avvenendo nel mondo reale, nella vita quotidiana di quelli che una volta venivano definiti i paesi emergenti e che stanno man mano surclassando quelli a economia avanzata: ovvero il fatto che per queste popolazioni il paradigma della crescita secondo i canoni occidentali è certamente sinonimo di benessere. E mentre il movimento no global denuncia sofferenze reali che si manifestano in questi paesi, in termini di disastri ambientali, diseguaglienze sociali e scarsa democrazia, non riesce contemporaneamente a far crescere la consapevolezza in queste stesse popolazioni della necessità di un modello alternativo: convincente perchè sostenibile e viceversa.
Abbiamo posto queste riflessioni a Maurizio Gubbiotti, responsabile del dipartimento internazionale di Legambiente, in questi giorni impegnato nel controvertice del G8 a Heiligendamm.

Gubbiotti, come si affronta questa necessità da parte del movimento altermondialista di incidere in maniera più stringente sulla governance mondiale?
«Io credo che vada comunque analizzato il risultato di questo G8 partendo dal pregresso. Perché se anche questo G8 ha mostrato la corda, se lo leggiamo nel senso che per la prima volta su una risoluzione finale del summit c’è stato un distinguo con la necessità di apertura verso un G13, con l’ingresso anche ai paesi come Cina, India, Brasile, Messico e Sud Africa, apre ancora di più la riflessione sul fatto di quanto questo G8 sia ancora rappresentativo e di chi rappresenta. La morte del Wto prima e adesso questo mostrare la corda da parte del G8, continuo a pensare che siano un frutto positivo della mobilitazione di questi anni, che è riuscita ad andare oltre chi la promuoveva su due aspetti: il primo è quello della sensibilizzazione delle popolazioni occidentali su questi temi».

Anche se le immagini che vengono restituite della violenza degli scontri, sembrano più che altro infastidire e creare paura nell’opinione pubblica.
«Sì ma è anche vero però che così tanta gente che capisce di cosa stiamo parlando non c’è mai stata. Tornando al secondo aspetto cui facevo riferimento, se la mobilitazione è riuscita ad andare oltre a chi la promuoveva è per aver diffuso le buone pratiche sui paesi più poveri. E anche questo nuovo protagonismo dell’Europa in positivo non è che deriva da illuminazioni dei governanti, ma dalla consapevolezza delle popolazioni che si rendono conto che i loro paesi pagano aspetti negativi e vogliono ricette diverse, tutte cose di cui i governi di questi popoli prendono atto. Lo stesso Bush è obiettivamente sempre più isolato; non tanto sulla difesa dei benefici del suo paese nei confronti dei paesi più poveri ma su questi temi lo è».

Va bene ma sta di fatto che gli impegni presi in questo vertice sono abbastanza blandi e l’immagine che è emersa del movimento è che la parte pacifica ha avuto poco influenza e l’altra ha creato solo scontri.
«Questa è la prima parte del ragionamento, poi arriviamo al movimento di oggi altrimenti saltiamo il risultato più importante di questi anni.
In questo G8 si è avuta un immagine in cui la società civile che manifesta in forma corretta democratica e partecipata si separa dalla parte che sfascia tutto che a sua volta è un po’ più concentrata sul suo percorso. Gli scontri sono stati abbastanza caratterizzati dalla componente che ha come obiettivo di sfasciare tutto e che si è concentrata esclusivamente nello scontro con le forze dell’ordine con numeri loro e in forte separatezza.
L’altra lente con cui guardare questo vertice è che le decisioni devono essere prese da altre parti. Va rimessa in discussione una politica unilaterale che ha segnato nei decenni passati la politica degli Usa e dei paesi industrializzati. E che non va sostituita con una altrettanto unilaterale politica da parte dell’Europa. Non è che la Francia o la Germania sono meno pericolosi di chi sposa una politica di unilateralismo . E oggi in questo scenario stanno scendendo in campo altre realtà tipo la Russia che, dopo che la caduta dell’impero sovietico l’ha relegata ad un ruolo subalterno, torna adesso a sentirsi di nuovo una potenza e pensa di poter tenere l’Europa sotto scacco con il gas e si pone sulla scacchiera come un paese che conta. Stessa cosa il Brasile. Quindi le variabili sono tante e non c’è dubbio che c’è sempre più difficoltà ad incidere su questo scenario».

C’è anche da fare i conti con il fatto che è sempre più necessario interloquire con i soggetti che stanno conoscendo adesso una crescita economica che rappresenta per loro la fine della miseria alla quale difficilmente vorranno rinunciare.
«Si possono leggere in queste popolazioni due questioni identiche alle nostre: la distanza che c’è tra la politica e i bisogni delle persone che non è tanto per una inadeguatezza della politica in quei paesi, ma per una riduzione degli spazi della partecipazione. E questa non è solo legata al fatto che c’è poca democrazia ma al fatto che è complicato che ci sia partecipazione e democrazia dove la sofferenza è particolarmente evidente. Una eccessiva povertà, porta ad una riduzione degli spazi di partecipazione e il risultato è una distanza dalla politica.
Il secondo aspetto simile a noi è che i paesi ad economia emergente sono anche i luoghi dove il movimento mondiale attraverso i social forum si è espresso in maniera più alta e nonostante ciò la incisività di quelle elaborazioni risulta evidentemente bassa. Pensiamo al Brasile».

E allora come si fa a far incidere il movimento sui poteri reali?
«Continuando ad essere al servizio di un allargamento della partecipazione e cambiando le politiche soprattutto dei paesi più industrializzati, perché anche su questo dobbiamo stare attenti a non farci ingannare dalla fotografia che ci dà un immagine istantanea, ma che non corrisponde alla complessità. Le responsabilità più forti ce le hanno i paesi industrializzati e se non si lavora su questo l’inadeguatezza di quei territori e di quei governi sarà sempre tale. Io credo che con questo G8 si siano riaperti gli scenari».

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