[18/06/2007] Consumo

Crescita o decrescita? Le domande buone e le domande cattive

LIVORNO. La crescita di cui si discute e che si misura nelle statistiche nazionali è quella del Prodotto interno lordo (Pil): del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti in un dato periodo (di solito l’anno) in una data economia. Questa definizione è importante, perché è a partire da essa che occorre impostare e concettualizare il dibattito. Di quella crescita (decrescita) si parla, non di altro. Facciamo alcuni esempi utili a orientare le successive riflessioni. Sarò un po’ noioso ma, ripeto, è importante porre la discussione su un piano rigoroso.
Il PIL misura il valore di tutti i beni e i servizi finali prodotti. Se in un determinato periodo aumentano la produzione e la vendita di automobili e di lavatrici per un valore complessivo di 10 milioni di euro, l’effetto sul PIL è lo steso che si avrebbe nel caso in cui aumentassero di 10 milioni di euro la produzione e la vendita di tagli di capelli e di spettacoli teatrali. Anche se non sempre è così, nella gran parte dei casi la produzione di servizi comporta un consumo energetico minore della produzione di beni. I danni che l’aumento del PIL produce sull’ambiente dipendono perciò dalla composizione dell’aumento di PIL: quanti beni in più? Quanti servizi in più?

Il PIL misura il valore di tutti i bei e i servizi finali prodotti. Immaginiamo un’economia in cui si producano 100 tonnellate di vetro (un bene intermedio, che in quanto tale non entra nel computo del PIL) vendute poi al prezzo di 3 milioni di euro per produrre 2 milioni di bicchieri (un bene finale) venduti poi al corrispettivo di 5 milioni di euro. Il PIL è pari a 5 milioni di euro. Immaginiamo poi che nel periodo successivo, a causa di cambiamenti nei gusti dei consumatori e/o del progresso tecnico (i due fenomeni sono spesso legati l’uno all’altro), si producano solo 80 milioni di tonnellate di vetro, vendute a 2,4 milioni di euro per produrre ancora due milioni di bicchieri venduti a 5,1 milioni di euro. La produzione materiale dell’economia si è ridotta, ma il PIL è cresciuto del 2%. Inquesto caso la crescita si associa ad un miglioramento dello stato dell’ambiente.

E’ facile costruire altri esempi in cui la crescita peggiora invece lo stato ambientale, cosi come esempi in cui la decrescita del PIL lo può migliorare o peggiorare. In tutti questi casi la morale della favola e’ la stessa. Il fatto che il PIL misuri il valore di tutti i beni e i servizi finali prodotti in una economia lo rende un indicatore potenzialmente inadatto a misurare i vantaggi/svantaggi ambientali legati allo svolgersi dell’attività economica. Occorre guardare non solo alla composizione del PIL fra beni e servizi, ma anche a come quel PIL si è realizzato, con quanto uso di beni intermedi, con quale tipo di beni intermedi, con quali tecnologie.

Ancora: il PIL misura il valore di tutti i beni e i servizi finali ma non dice nulla sulla distribuzione di tali beni e servizi fra la popolazione. La norma è che quando il PIL cresce (decresce), il reddito di qualcuno stia dimunuendo e il reddito di qualcun’altro stia aumentando più (meno) rapidamente. Crescita o decrescita per chi?
Proseguiamo. In quasi tutti i paesi dell’Africa sub-sahariana negli ultimi 20-25 anni e in gran parte dell’America Latina negli anni ’90 e per alcuni anche oltre, il PIL è aumentato, ma a causa della pressione demografica il PIL pro capite è diminuito. Tecnicamente, alla crescita del PIL e ai corrispondenti danni ambientali, si è associato un peggioramento del tenore di vita medio. Mediamente ciascuno ha consumato di meno ma, potenza della demografia, lo stato dell’ambiente è peggiorato.

Questi semplici esempi – in fondo una collezione di ovvietà – ci devno far riflettere sul rapporto fra danni ambientali e crescita/decrescita del PIL. E’ un rapporto certamente abbastanza solido sul piano statistico: i numeri, ovvero ciò che è stato sino ad ora, ci dicono che più PIL significa in genere più danni all’ambiente. Al tempo stesso tuttavia, e gli esempi riportati servono a sostenere questo argomento, è un rapporto assai debole sul piano logico: il fatto che fino ad ora sia stato cosi non significa che debba sempre e necessariamente continuare ad essere cosi. E’ del tutto immaginabile uno scenario in cui più (meno) PIL si associa ad un miglioamento (peggioramento) della qualità ambientale.

Troppo spesso inoltre non riflettiamo lucidamente sul rapporto fra distribuzione degli aumenti di PIL e miglioramento/peggioramento dello stato ambientale. Se gli aumenti di PIL si concentrano nelle mani di chi è già ricco, esacerbando le diseguaglianze, è probabile che aumentino i consumi voluttuari. Se invece si concentrano nelle mani di chi è meno ricco, migliorando la distribuzione del reddito, è probabile che aumentino i consumi necessari. Inquinano di più 2 Ferrari Testarossa o 5 Punto? Sono ecologicamente preferibili 3 viaggi aere in più o 3 anni di università in piu? Non ho la risposta certa a queste domande, ma quel che è certo è che non è la stessa cosa. La distribuzione della crescita (della decrescita) modifica l’impatto anbientale dello stesso dato economico.

Pare a me, allora, che il dibattito crescita versus decrescita sia essenzialmente fuorviante, inutile ad orientare le concrete scelte di politica economica. Le vere domande, alla luce di quel che abbiano detto sino ad ora, sono altre: come si può realizzare, con quali politiche pubbliche, uno scenario in cui la crescita dei redditi delle classi sfavorite si associ a un miglioramento delle qualità ambientale?
E’ una domanda difficilissima, e proveremo ad affrontarla negli interventi successivi. Ma sono convinto che si possa sperare di risolvere qualche problema, per lo meno di ridurne la portata, solo ponendosi le domande giuste.

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