[04/07/2007] Comunicati

La crescita cinese divora salute e ambiente ed erode il Pil

LIVORNO. La Banca Mondiale ha reso noto un ponderoso studio multisettoriale di 151 pagine, svolto in più anni, che stima i costi “fisici” ed economici che l’inquinamento dell’aria e dell’acqua in Cina hanno sulle malattie dovute a sostanze inquinanti, sulla scarsità di acqua potabile, sull’irrigazione, sulle perdite registrate negli stock ittici e dei raccolti agricoli, sui danni materiali diretti causati dall’inquinamento che accompagna la crescita irrefrenabile del gigante asiatico. Lo studio gode del patrocinio del governo cinese ed è stato effettuato in collaborazione con l’Amministrazione statale per la protezione ambientale, ma le autorità comuniste hanno preteso che venisse depurato per almeno un terzo dei suoi contenuti originali ed in particolare del dato più clamoroso: l’inquinamento in Cina costa almeno 750 mila morti premature all’anno, una cifra impressionante, da inizio della rivoluzione industriale, anche per un Paese di un miliardo e 300 milioni di abitanti.

A questo, secondo il “Financial Times” che è entrato in possesso della versione non censurata, andrebbero aggiunti 60 mila decessi all’anno per l’acqua inquinata, così mentre la Cina percorre a rotta di collo la strada della crescita economica e dell’arricchitevi, nel Paese per inquinamento si muore di nuovo delle malattie del sottosviluppo: diarrea, gastroenterite, infezioni, come prima della rivoluzione maoista.

Dati preoccupanti anche per il governo nazional-comunista e che è meglio tenere nascosti in un Paese in gran parte ancora ignaro delle conseguenze dell’inquinamento, dove si pensa che basti una mascherina a difendersi dalla cappa eterna dello smog metropolitano, dove si riaffaccia la schiavitù e le proteste e le rivolte delle campagne, che spesso prendono il via da casi di inquinamento dell’acqua e del suolo, vengono represse con la forza più brutale, tra il disinteresse del mondo.

Eppure l’analisi della World Bank è basata soprattutto sul «consenso a pagare» da parte delle famiglie dei due agglomerati metropolitani di Shanghai e Chongqing per ridurre i rischi sanitari conseguenza dell’inquinamento, e partendo da questo svela ugualmente cifre economiche e sociali colossali: i costi dell’inquinamento di aria ed acqua in Cina rappresentano circa il 4,3% del suo prodotto interno lordo, aggiungendo anche i costi che non riguardano direttamente la salute, che secondo la Banca mondiale rappresentano un altro 1,5% del Pil, il costo totale dell’inquinamento si aggirerebbe intorno al 5,8% del Pil cinese.

Il Pil della Cina cresce almeno del 10% annuo e viene eroso in parte dai costi ambientali e sanitari dell’inquinamento, anche se le attività necessarie a mettere riparo a questi danni colossali (si pensi solo all’enorme problema della desertificazione e del disinquinamento di suoli, acque e città) poi vanno loro stesse ad accrescere il Pil in un circolo vizioso.

Una crescita sporca, che si sostiene con lo scambio tra le materie prime necessarie e i prodotti di bassa qualità e bassissimo costo, energivori e inquinanti, attraverso l’invasione non più ideologica ma mercantile dell’Africa e di quello che si chiamava generalmente terzo mondo, ma anche dei mercati low cost dell’Occidente industrializzato. Tutto questo non solo impedendo una democratizzazione interna, ma senza più nessun pregiudizio ideologico nel tessere rapporti di scambio economico con regimi dittatoriali di qualsiasi tipo e colore.

E mentre l’Occidente cerca di correre ai ripari con la qualità e i prodotti di alto livello ed alto costo destinati ai ricchi dei Paesi ricchi o alle classi dirigenti ed alle mafie economiche di quelli in via di sviluppo, quella che oggi Federico Rampini su “La Repubblica” chiama «la fabbrica del mondo» va avanti a sfornare copie di quegli stessi prodotti e generi di consumo a basso costo, dove l’innovazione di processo non conta, l’inquinamento, la salute dei lavoratori e della popolazione e la giustizia sociale sono optional, perché conta la produzione e il “progresso”, in una specie di piano quinquennale maoista rovesciato nel senso, ma stavolta di successo, basato sui numeri gridati di una crescita infinita, che sollecita l’orgoglio nazionale ed intimorisce gli altri Paesi, e sui numeri da tenere segreti delle morti, delle malattie e dei disastri ambientali e sociali che la sostengono.

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