[06/07/2007] Aria

Serafini «Combattere l´inquinamento riducendo i bisogni di mobilità»

«Abbiamo valutato le misure antismog assunte dalle amministrazioni come di nessun effetto concreto sulla riduzione del traffico veicolare, in particolare di quello più inquinante. La Procura non ce l’ha con nessuno. Non ha rapporti buoni o cattivi con la pubblica amministrazione. Rileva certi fatti e si comporta di conseguenza. L’azione penale è obbligatoria ed è valutata da un giudice. Avremmo commesso noi un’omissione di atti d’ufficio se avessimo mandato in archivio il problema».

Con queste parole il procuratore aggiunto di Firenze Giuseppe Soresina spiega gli avvisi di chiusura indagine consegnati ad amministratoti regionali e dei comuni della piana fiorentina, accusati di danno ambientale per aver disatteso la normativa europea che pone un limite ai giorni di superamento di Pm 10 e biossido di azoto nell’aria, e omissione di atti d’ufficio.

Un caso senza precedenti ma che rischia di diventare un precedente per molte altre città: se le altre procure italiane facessero quello che sta facendo la procura di Firenze avremmo la quasi totalità degli enti con amministratori per lo meno indagati.

Ne abbiamo parlato con il direttore di Aprile ( e ambientalista storico) Massimo Serafini.
«E’ molto difficile parlare di questa cosa, perché oggettivamente la magistratura fa semplicemente il suo mestiere perseguendo amministratori per una legge inapplicata. Se questa però diventasse la regola gran parte dei cittadini rimarrebbe senza amministratori, perché le leggi sull’inquinamento urbano sono evase da quasi tutti i sindaci delle grosse città, e non solo da quelle grosse».

Qualcosa evidentemente non torna: sono sbagliate le leggi o gli amministratori?
«Le leggi no di sicuro, anzi le normative sull’inquinamento urbano dovranno diventare sempre più stringenti. Non sono solo i cinesi a nascondere i dati e ad avere 750mila morti per l’inquinamento, gran parte delle nostre malattie tumorali sono legate al fatto che nelle nostre città non è più possibile convivere con una qualità dell’aria salubre».

Quindi la responsabilità degli amministratori resta in prima linea?
«Gli amministratori locali in genere non danno un esempio molto virtuoso, nel senso che spesso la salute pubblica è sacrificata rispetto ai poteri forti che si annidano nelle città e a un modello di consumo che viene ritenuto un totem intoccabile, per cui non vengono perseguite politiche di chiusura al traffico nei centri storici, ma anche zone franche nei quartieri periferici in modo che anche gli acquisti, le spese e i negozi, le opzioni culturali siano distribuiti nei quartieri senza l’obbligo di andare in centro. Qualsiasi referendum popolare in tal senso vince e si decide di chiudere, salvo poi tornare sui propri passi per la protesta dei commercianti e dei costruttori di parcheggi sotterranei, così che alla fine i provvedimenti antinquinamento si limitano alla menata delle domeniche a piedi. A parziale giustificazione degli amministratori va però evidenziato anche che la normativa nazionale e gli strumenti con cui si affronta centralmente l’inquinamento non mettono le città nella condizione di intervenire in modo cogente in direzione della mobilità sostenibile».

Può spiegarci meglio cosa intende perchè non sono solo i commercianti a recriminare, spesso sono anche i cittadini a protestare contro le tramvie?
«Lo faccio volentieri, e purtroppo con un esempio di strettissima attualità. Ha presente il piano infrastrutturale presentato dal ministro Di Pietro allegato al Dpef? Quel documento non aiuta certamente a scegliere la mobilità sostenibile, perché incrementa il traffico veicolare su gomma privilegiando strade, autostrade, uso spasmodico dell’auto individuale. Ovvero incentiva la mobilità insostenibile che è la principale causa degli sforamenti delle emissioni inquinanti nelle città. Quindi il povero amministratore locale non dispone dal governo nazionale di un quadro di riferimento di lotta all’inquinamento dell’aria, ma al contrario si trova davanti scelte che lo incrementano».

La soluzione allora dove potrebbe essere cercata?
«La prima cosa da programmare a livello nazionale e di conseguenza a livello locale è la riduzione dei bisogni di mobilità, espandendo solo i bisogni relazionali».

Non mi sembra una scelta facile e anzi direi che la tendenza corre nella direzione opposta
«Però quella di una mobilità diversa è l’unica scelta cogente per mettere a riparo i nostri polmoni. Fatti salvi i bisogni relazionali, culturali, di conoscenza, ci sono moltissime attività che si possono fare grazie alle tecnologie moderne e provocatoriamente potremmo dire che la macchina del futuro potrebbe essere Google. Più seriamente è necessario pensare a ridurre i bisogni di mobilità, che significa anche ridurre la dipendenza dalle merci e facilitare la smaterializzazione dell’economia, senza vivere questa trasformazione come un incubo ma come un’opportunità.
In conclusione la vicenda di Firenze deve farci capire che serve un quadro di riferimento certo e che bisogna smettere di nascondere il problema, perché se a risolverlo dovesse davvero pensarci la magistratura rischieremmo di ritrovarci un giorno con il Paese paralizzato».

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