[06/07/2007] Comunicati

La Cina cerca l’armonia sociale tra inquinamento e sfruttamento

LIVORNO. Il 70% delle piogge cadute nel Guangdong nei primi mesi del 2007 sono acide a causa degli scarichi di fabbriche e veicoli, nel Jiangsu l’acqua è ormai imbevibile per gli scarichi delle fabbriche chimiche. Sono solo due dei quotidiani allarmi che giungono dalla Cina e che rendono le campagne antinquinamento portate avanti dall’Amministrazione statale per la protezione ambientale (Sepa) poco più che buone intenzioni che si trasformano in interventi isolati, ben lontani dal raggiungere l’obiettivo di ridurre del 10% le emissioni inquinanti tra il 2006 e il 2010 che il Congresso del Popolo ha preso solennemente.
Qualche volta le autorità comuniste centrali intervengono per far chiudere le fabbriche colpevoli dei casi più gravi di inquinamento, ma spesso, con l’appoggio delle autorità locali, sempre più complici dei gruppi economici, le attività riprendono poco dopo

«Gli interventi su casi specifici non risolveranno il vero problema – ha detto al “China Youth Daily” il vicedirettore della Sepa, Pan YuePan – senza un diretto impegno del sistema politico e legislativo». La lotta contro l’inquinamento idrico è un importante esame della capacità del governo di decidere e realizzare politiche macroeconomiche e promuovere l’armonia sociale».

A preoccupare sono soprattutto due cose: la forte esposizione bancaria di molte industrie cinesi che le spinge a sfruttare sempre di più una manodopera già a basso costo e a risparmiare sull’innovazione, e le rivolte contadine che si succedono nel Paese, soprattutto contro funzionari e polizia locale che ignorano volutamente le leggi in materia ambientale. Intanto sono sempre di più le fabbriche che si dotano di milizie private che, come accaduto nella città di Heyuan, bastonano gli operai in sciopero perché praticamente schiavizzati e senza paga da 5 mesi.

Il comunismo cinese e le sue promesse di uguaglianza sembrano ormai un guscio vuoto che copre un’oligarchia politica inavvicinabile, mentre nell’immensa fabbrica mondiale in cui si è trasformata la nazione cresce un sottoproletariato alimentato da almeno 100 milioni di contadini inurbati e di bambini lavoratori, senza nessun diritto e senza nessuna consapevolezza dei rischi sanitari ed ambientali.

Una miscela sociale ed ambientale esplosiva, difficile da maneggiare anche per la peggiore delle dittature, il tutto mentre la Cina dovrà comunque aprirsi di più allo sguardo del mondo con le olimpiadi del prossimo anno. Il Governo cerca di correre ai ripari, di ricreare “l’armonia sociale”, anche con nuove leggi sui diritti dei lavoratori, ma così, protestano i nuovi ricchi cinesi e per le multinazionali, il boom economico cinese rischia di afflosciarsi, perché è basato sullo sfruttamento e la mancanza di garanzie per centinaia di milioni di lavoratori e sulla trasformazione di gran parte del suolo e delle acque cinesi in deserti velenosi.

Questi sembrano, sempre di più, gli elementi alla base della “competitività” cinese tanto ammirata in occidente e di un modello che molti altri vorrebbero importare: governo autoritario, nessuna attenzione per l’ambiente, bassissimi diritti per i lavoratori. Una catena di montaggio planetaria che divora le sue risorse e che somiglia sempre più al peggior incubo di quella che sembrava fantascienza sociale.

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