[09/07/2007] Monitor di Enrico Falqui

Grandi eventi, piccole miserie

«Le prossime generazioni potranno chiedersi due cose: come hanno fatto i nostri genitori a non fare nulla, oppure come hanno fatto a trovare l’unità per cercare una soluzione? Io vorrei che si facessero la seconda domanda».
Sono le parole con cui John Kennedy, nel 1961, si insediò alla Casa Bianca e che Al Gore ha ripetuto, sabato scorso, a conclusione del Live Earth a New York, lanciando uno storico appello per una svolta culturale e politica a favore della stabilizzazione del clima globale, principale minaccia per la sopravvivenza del nostro pianeta nei prossimi vent’anni.

Nelle stesse ore, a Modena, il celebre filosofo e storico dell’ecologia Pascal Acot, partecipando a un più modesto convegno sul riscaldamento globale, ha ammonito che «la riconversione ecologica del sistema produttivo dovrebbe essere già in corso perché i tempi di inerzia della macchina climatica sono terribili... e ci vorrano tra i 50 e i 100 anni per ripulire l’atmosfera dai gas serra».
Acot si è rivolto ai governi dei paesi europei perché finanzino con più decisione le fonti rinnovabili, chiedendo anche un meccanismo economico che penalizzi l’emissione di gas serra e fornisca incentivi a chi progetta o riabilita la biodiversità nei sistemi naturali.

In America latina, il bacino fluviale del Rio de la Plata è la sorgente di circa il 70% del PIL dei cinque grandi paesi che si trovano al di sotto della fascia equatoriale, Argentina e Brasile compresi. Un programma delle Nazioni Unite è stato con urgenza approvato per investigare la climatologia e l’idrologia attuale in tutto il bacino, a causa delle preoccupazioni espresse nei confronti delle risorse regionali influenzate dal regime climatico e ideologico a scala locale.

Il programma GEWEX, da circa 15 anni, osserva la dinamica dell’acqua nell’atmosfera e sulla superficie della Terra, poiché essa non solo è il principale fattore biotico ma è anche la principale sorgente di energia che controlla le nubi e la radiazione solare e dirige la circolazione globale dell’atmosfera.
Questo complesso sistema di monitoraggio ci segnala da tempo che i cambiamenti climatici incidono prevalentemente sui lenti ma irreversibili processi di desertificazione che renderanno invivibili ampie zone del Pianeta, oggi considerate fertili. Ogni anno 60.000km/q di terreni vengono resi inutilizzabili a causa di tali processi. Negli ultimi anni questi segnali negativi si sono accentuati prevalentemente negli Stati Uniti e nel bacino del Mediterraneo, dove i processi hanno incrementato la velocità di aridizzazione delle terre.

Questi processi, ci dice un rapporto recente dell’Unccd, sono concomitanti al riscaldamento terrestre globale ma ottengono effetti assai più rapidi e incisivi del lento scioglimento dei serbatoi glaciali e polari, cui sono legate le previsioni di innalzamento dei mari e degli oceani, che tanto preoccupano i governi dei paesi maggiormente esposti a tali fenomeni.

I processi di inaridimento dei terreni e dei suoli agricoli più redditizi ci fanno capire meglio l’alta produttività di “servizi ecologici“, che il regime idrico e il clima globale trascinano con sé e da cui dipendiamo tutti, ricchi e poveri del Pianeta.
Questi “servizi ecologici” sono costituiti da produzione di cibo, da barriere alla diffusione di malattie, regolazione del regime ideologico, riproduzione dei nutrienti del suolo, habitat degli animali, paesaggi naturali.

Il rischio che ci minaccia tutti già oggi, ci ricorda ancora il filosofo francese Acot, è costituito dalle migrazioni imponenti di popolazioni che fuoriescono da quei paesi dove l’accelerazione dei processi di desertificazione si sovrappone agli errori di politiche di sviluppo importate o imposte (attraverso i vincoli sui prestiti stabiliti dalla Banca Mondiale e dal FMI) dai paesi occidentali, che riducono le possibilità di sviluppo o di sopravvivenza di quei popoli, ridotti in “schiavitù” dalla povertà.

E’ proprio questo lo “ sviluppo ineguale” di cui parlava la norvegese Brundtland nel 1983, quando pubblicò quel famoso rapporto senza il quale la Conferenza di Rio de Janeiro non avrebbe mai visto la luce.
Sviluppo ineguale e crisi climatica appaiono oggi, sempre più, due facce della stessa medaglia, quella di un modello di sviluppo distorto a scala globale che contrappone Nord a Sud, Est ad Ovest, utilizzando gli schermi dell’ideologia (sempre meno) e quelli della religione e dell’etnicità (sempre di più) per diffondere odio, divisioni, guerre su tutto il Pianeta. Sono le stesse parole usate da Al Gore ( New York) e Walter Veltroni (Torino) per rilanciare un appello alla mobilitazione contro tutte le povertà nel Mondo per uno sviluppo sostenibile che stabilizzi il clima globale e promuova un modello di bioeconomia nei paesi maggiormente responsabili della crisi ecologica globale.

Negli stessi giorni, a Firenze , si sono riuniti i rappresentanti di 114 comitati di cittadini, guidati dal Prof Alberto Asor Rosa, per promuovere una mobilitazione dei cittadini toscani contro il “governo scellerato” del presidente Martini, unico governatore in Italia ad aver promosso iniziative concrete nei confronti del clima globale ed aver promosso un tentativo di stabilizzazione delle emissioni attraverso il risparmio energetico, l’uso intensivo delle energie rinnovabili (solare in edilizia, eolico, cogenerazione delle centrali a gas, geotermia).
Il movimento riunitosi a Firenze ha dichiarato anche ambizioni di influenzare la politica nazionale, fidandosi del supporto di associazioni ambientaliste che hanno smarrito l’orientamento (Italia Nostra, Wwf) a causa del vecchio malinteso secondo cui l’ambiente si difende “ sempre” con l’opposizione a chi governa ( “a prescindere”, come diceva il grande Toto’). Il sostegno a questo movimento, definitosi seraficamente “neo-ambientalista” è garantito anche da comici alla moda ( Beppe Grillo) e da altri più modesti comici da salotto.

Non si tratta di un evento (anche se la coincidenza dell’appuntamento col Live Earth deve aver fatto riflettere più d’uno dei partecipanti), tuttavia è singolare che ciò sia accaduto proprio nel momento in cui il presidente Martini aveva deciso di allargare la propria maggioranza ai recalcitranti alleati di Rifondazione Comunista.

Ci sarebbe da pensare che tale allargamento venga reso inutile dalla nascita di un combattivo movimento che si vanta di avere 14.000 aderenti in tutta la Toscana. La roccaforte di tale movimento si trova nella città di Firenze, dove un altro professore, Paul Ginsborg, ha stilato un decalogo dei 10 peccati capitali dei governi di Firenze e della Regione contro i quali chiama alla mobilitazione i cittadini fiorentini e toscani.

Quali sono questi “peccati”? La diffusione delle energie rinnovabili in Toscana è il primo tra questi, riscuotendo molti consensi da parte di coloro che si battono contro gli impianti eolici (Scansano), contro la geotermia (Amiata) , contro l’uso delle biomasse e del compost (Siena), contro i cogeneratori a metano, contro l’impiego del combustibile rdf nelle centrali termoelettriche, contro gli elettrodotti e contro le stazioni radiobase della telefonia mobile.

Escludendo le centrali nucleari e le centrali a carbone (contro le quali esiste un vasto movimento di opinione pubblica in Toscana, ben superiore alla forza del movimento neo-ambientalista ), il risparmio energetico rappresenta l’unico elemento di consenso trovato.
Ma attenzione, a una condizione… che il risparmio energetico non riguardi il settore da cui proviene il maggior contributo alla produzione di gas serra , quello dei trasporti urbani ed extraurbani, poiché tale movimento si batte ferocemente contro i porti commerciali, contro gli interporti necessari al trasporto delle merci via mare e in parte via ferrovia. Si batte con altrettanta vigoria contro le tramvie urbane, definite “ecomostri” e mostra di gradire in alternativa le metropolitane sotterranee ( come accade a Firenze).

La Nazione, principale quotidiano fiorentino, dava conto delle ambizioni politiche di tali movimento definendolo “i crociati del no”; in realtà, tale movimento non appartiene neanche al filone “ egoistico” del Nimby (non nel mio giardino) ma rischia di entrare a far parte di quella cultura antagonista (spesso nichilista) di una sinistra radicale che ha smarrito i propri cromosomi e il proprio Dna e che dimostra non di possedere un modello alternativo di sviluppo, bensì di sapersi unire solo contro lo sviluppo a favore della decrescita.

Che c’entra tutto questo con il Live Earth? Niente, si tratta di piccole miserie, è vero: il fatto è che questo neo-ambientalismo nichilista rischia di diventare il patrimonio culturale e politico di una sinistra radicale, che rappresenta oggi circa il 20% dell’elettorato italiano, con la quale L’Ulivo è costretto a governare, se non cambia il sistema elettorale e , in parte, anche la Costituzione italiana.
Se però anche l’amico Chicco Testa si mette a studiare la biografia di Sarkozy e molti carissimi ambientalisti storici italiani, incontrati recentemente, mi hanno manifestato una cinica sfiducia nella capacità di far divenire l’ambiente, in Italia, una centralità analoga a quella invocata da Al Gore a conclusione del Live Earth, allora, cari lettori, vi assicuro che c’è di che preoccuparsi.

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