[16/07/2007] Monitor di Enrico Falqui

Il codice di Leonardo

La personalità di Leonardo da Vinci è sempre stata circondata da un alone di mistero: è noto che la sua genialità venisse spiata con sospetto da un’epoca grezza e spesso troppo chiusa nelle sue ideologie rigorose.
Nella seconda metà del XV secolo, Leonardo da Vinci aveva respinto la tesi mirante a vedere nelle forme della terra gli effetti di catastrofi di origine divina, mettendo in evidenza il risultato della capacità erosiva delle acque presenti in natura : “ogni fiume si scava la propria vallata”. Ciò che più interessava a Leonardo, su questo argomento, era l’acqua nel suo movimento e annotava nei suoi manoscritti il frequente mutare del letto dei fiumi, le divagazioni delle acque nello scorrimento a valle, l’intensità dell’azione di trasporto e di accumulo dei materiali.

Con linguaggio moderno possiamo dire che ricercava tutte le informazioni che servono a spiegare il rapporto tra ciclo delle acque superficiali e sotterranee con l’evoluzione dell’ecosistema fluviale dalle sorgenti alla foce. Ma c’era qualcosa di più che lo incuriosiva, un “ codice segreto “inscritto nello scorrimento delle acque che aveva un valore ben più importante e universale.
L’osservazione del fiume aveva fornito a Leonardo l’intuizione che lo scorrere delle acque producesse un esempio eccellente di “trasformazione “continua da parte della Natura. Si trattava di un’intuizione così importante che, alcuni secoli dopo, essa servì a James Hutton, nel 1795, per formulare la teoria dell’uniformismo, che vede nella genesi dell’attuale struttura e forma della terra, l’esito di un’azione ininterrotta , non percepibile dall’uomo proprio per la sua grande lentezza. Quella dei corsi d’acqua, rivoli, torrenti, fiumi che, erodendo la terra determinano un costante processo di demolizione, dal quale hanno avuto origine monti e vallate, ovvero le varie configurazioni dei luoghi della terra.

Oggi il mondo scientifico è consapevole che da queste intuizioni e dalle successive elaborazioni di Playfair, Lamarck e Leyell , Darwin trasse i fondamenti dell’innovativa visione della storia del mondo, pubblicando nel 1859 la teoria dell’origine della specie.

Oggi sappiamo che non vi è evoluzione senza trasformazione, ma come allora noi non avvertiamo la “ trasformazione” prodotta da un fiume a causa della lentezza di tale processo evolutivo. E’ vero che, oggi, le capacità di monitoraggio, previsione e pianificazione sono straordinariamente aumentate, a causa delle eccezionali capacità di controllo della tecnologia e dell’informatica; tuttavia lo scorrere delle acque (il ciclo delle acque) non sembra avere per l’uomo moderno quel significato esemplare di mutamento e di trasformazione,proprio di Hutton e Darwin, che lo utilizzarono anche per contrapporsi ad una visione teologica della Natura.

Negli Stati Uniti, in particolare, ma anche in Europa, oggi questa visione teologica della natura è ricomparsa attraverso la negazione del darwinismo e delle teorie sull’evoluzione, ma non possiede la forza di superare la dimensione filosofica e religiosa della discussione. Tuttavia, ancora oggi, i neo-negazionisti delle tesi darwiniane citano le affermazioni di due reverendi, William Buckland e Daniel Conybeare che , nel 1807, affermavano che l’ultima fase dell’evoluzione della terra si sarebbe verificata nel corso del catastrofico diluvio, la cui narrazione è descritta nel libro della Genesi.

Ciò che ancora oggi viene messo in discussione dai neo-negazionisti dell’evoluzione, è che lo scorrere delle acque ( fiumi) rappresenti un formidabile esempio di “ trasformazione “continua da parte della Natura , cancellando in questo modo anche la straordinaria intuizione di Leonardo.

Antonio Pedrini , in un suo saggio sulla città moderna del 1905, metteva in evidenza che gran parte delle città italiane sono costruite sulle rive dei fiumi e che, quando esse sono attraversate dal fiume, “ vengono suddivise, ripartite, dando origine ad una trasformazione della città che segue l’evoluzione dell’ecosistema fluviale.

Pedrini anticipa, nel suo saggio scritto all’inizio del ‘900, una riflessione epistemologica dell’urbanistica moderna e introduce la definizione, oggi dimenticata, di “ città fluviali “( e anche di città di litorale ), nelle quali è iscritto una sorta di codice naturale che produce nel tempo “ trasformazione”, sia dell’habitat fluviale, sia dello statuto dei luoghi della città.
In verità,anche io sono sempre stato colpito nel constatare quanto una città attraversata da un fiume, ne venga da esso caratterizzata e identificata.

Roma,Firenze,Torino, Verona, ma anche Parigi, Londra , Praga, Vienna, Budapest (e numerose altre) non sarebbero le stesse senza il loro fiume. Il paesaggio urbano ma anche l’architettura dei palazzi che si affacciano sul fiume e l’organizzazione dei luoghi che hanno relazione con lo scorrere delle acque, avrebbero avuto funzioni e usi diversi.

Un’aristocratica inglese del XVIII secolo, Lady Wortley Montagu, una delle prime donne viaggiatrici, nel suo celebre viaggio verso Istanbul, arrivò a Firenze e ne fu incantata : “ non potete figurarvi una posizione più incantevole di quella di Firenze, essa è adagiata in una fertile e ridente vallata, bagnata dall’Arno che scorre attraverso la città, la divide, la organizza.”
Un geografo francese, Charles de Brosses, divenuto celebre attraverso il suo diario epistolare del viaggio compiuto in Italia tra il 1739 e il 1740, così descrive Firenze , vista dal campanile di Giotto : “..gli Appennini si dividono in due braccia e la pianura forma una specie di golfo, sul fondo del quale è situata la città……un numero incalcolabile di ville si osserva a perdita d’occhio, la bellezza della campagna coltivata e il corso dell’Arno che la attraversa….mi darete ragione se dico che non è una visione consueta.”

In tutti questi commenti appare evidente l’imprinting di trasformazione che il fiume fornisce alla percezione della città e del paesaggio rurale, quasi che l’attenzione dell’osservatore fosse stata colpita dalle forme e dalla bellezza di un monumento, quasi che il valore della campagna coltivata e dei boschi delle colline fiorentine fossero equivalenti a quelli del centro storico.

In altre parole, in queste città fluviali lo scorrere delle acque ci porta nel cuore delle città , a contatto con i luoghi storici da cui ha avuto origine la città, proprio come accade a Firenze con l’Arno, a Roma col Tevere, a Verona con l’Adige. Seguendo la linea di evoluzione dell’ecosistema fluviale si arriva alle origini di tutti i processi di trasformazione della città e, in un certo senso il fiume ci appare come la porta di ingresso e di uscita della città.
Il fatto è che, nella maggior parte delle città fluviali italiane, queste “porte” sono diventati luoghi derelitti, sorgenti di degrado e di inquinamento, dove si svolgono funzioni incompatibili con l’ecologia fluviale e che annullano le potenzialità di trasformazione della città e del suo territorio rurale.
Il fiume entra ed esce dalla città in modo anonimo ed estraneo alla vita e agli usi sociali dei suoi abitanti poiché ha perso la sua funzione di corridoio ecologico percorrendo il quale si scoprono contemporaneamente le origini della città e l’evoluzione degli habitat e dei paesaggi urbani.

Tempo fa , l’urbanista Felicia Bottino coglieva il limite di una concezione “ difensiva “ della tutela ambientale e paesaggistica , proprio ricordando che in Emilia e Romagna il vincolo da lei posto ( in qualità di assessore regionale al Territorio) sulle attività di escavazione in alveo ben oltre i 150 metri dai parchi fluviali non era stato sufficiente a garantire l’azione di salvaguardia e di tutela degli ecotoni fluviali.
Anche io, ritengo che i parchi fluviali debbano essere pensati,oggi, non solo per difendere unicità ed emergenze ecologiche e paesaggistiche ma per progettare riqualificazioni ecologiche e recupero di paesaggi degradati in relazione alla città attraversata , in modo da ricostituire quel codice segreto della trasformazione continua della natura che coinvolge anche la trasformazione della città.

La cultura urbana che esiste oggi in Italia sembra aver paura di rintracciare quel codice, e anche per questo il fiume non ispira più la progettazione dei fronti fluviali (come è avvenuto nell’Ottocento) o dei quartieri che si affacciano sulle sue acque. Ciò che servirebbe, in regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna , dove l’Appennino è il dorso e la regione è un pettine, è la progettazione di un’unica rete ecologica dotata di tanti corridoi ecologici (fiumi) che affondano nel territorio e ci conducono nel cuore delle città, alla riscoperta di quel codice antico ma di moderno significato che il genio di Leonardo ha lasciato in eredità alle generazioni presenti e future.

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