[17/07/2007] Comunicati

La Banca d´Italia non fa i conti con la sostenibilità

LIVORNO. Nell’ultimo bollettino congiunturale della Banca d’Italia la responsabilità previsionale è assunta in proprio, mentre fino ad oggi si era limitata nel selezionare le stime più valide formulate da altri organismi, come il Fondo monetario internazionale, Ocse, la Commissione europea… Almeno dal nostro punto di vista questa pare essere l’unica novità, visto che ancora una volta l’economia viene trattata, dal massimo organismo italiano in materia, sotto le uniche lenti della crescita e della competitività a prescindere. Numeri e quantità guidano ogni ragionamento, che non tiene invece minimamente in conto della qualità (della crescita e della competitività) né tanto meno della sostenibilità, buona soltanto quando il politico di turno deve presentare le proprie strategie di governo del Paese, ma totalmente ignorata quando si forniscono i dati sulla salute economica del Paese.

Addirittura la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno cominciato ad allentare la morsa del paradigma classico della crescita, consapevoli degli effetti che l’insistita usura del capitale naturale - ormai una variabile economica a pieno titolo - possono determinare (e già determinano) sullo sviluppo quantitativo come sui conti pubblici. Non la Banca d’Italia: se la politica economica dell’Italia continuerà ad essere quella enunciata dal governatore Mario Draghi, allora occorre mettersi l’animo in pace: la sostenibilità dello sviluppo può attendere.

Competitività su cosa? Crescita di cosa? Sembrano domande totalmente estranee agli scenari elaborati dalla Banca d’Italia, che segna con l’evidenziatore quello che interessa a tutti: ovvero che i consumi crescano: dell’1,9% per l’esattezza, anche se poi l’indebitamento delle famiglie è cresciuto dell’11% in un solo anno (ma non è un indice di povertà, tutt’altro: è solo l’ovvio frutto del credito al consumo e dell’incentivo a consumare sempre di più). Anche se poi domani si griderà alla necessità di abbassare i consumi di energia; non si griderà alla necessità di ridurre i flussi di materia perché ancora quasi nessuno coglie il nesso; si griderà alla necessità di ridurre i rifiuti (proprio perché ancora in pochissimi colgono il legame consumi – rifiuti).

Del resto pure quando si parla di efficienza energetica e di innovazione, se va bene si parla di innovazione di processo genericamente, non finalizzata a qualcosa (appunto: a risparmio di energia, risparmio di materia, mitigazione degli impatti ambientali). Anche se tra le righe del bollettino della Banca d’Italia gli effetti dello sviluppo del sistema economico italiano si possono forse leggere in un altro dato: che nel primo trimestre di quest’anno si è avuta una leggera riduzione dell’occupazione e che aumentano le persone che hanno perso fiducia nella possibilità di trovare un impiego (soprattutto al Sud) : che l’innovazione e la competitività (e quindi la crescita) eliminino le spese per il personale? Oppure, con rispetto parlando, aumentino lo sfruttamento del personale occupato?


Altro esempio: in Toscana, ma anche nel resto d’Italia, il dibattito è acceso sulla salvaguardia del paesaggio e del territorio e sulla necessità di mitigare gli impatti ambientali. E se vogliamo anche sulla necessità di abbattere la berlusconiana Legge Obiettivo (salvo poi confermarne almeno in parte le intenzioni di fondo attraverso il recente allegato infrastrutture al Dpef). Ma ecco che lo studio presentato ieri da Cresme , Unioncamere e Ance lancia l’allarme: la stragrande maggioranza delle imprese di costruzioni rischia di uscire dal mercato per colpa del calo degli appalti (in realtà cresciuti, ma solo per le maxi opere). Se il Cresme dicesse il vero allora il totem della crescita imporrebbe anche di dover costruire illimitatamente. Ma l’Italia non è infinita. E neppure il pianeta.

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