[06/03/2006] Consumo

«Crescita sostenibile» e innovazione tecnologica

PAVIA. I fattori cruciali che possono rendere la crescita sostenibile sono le preferenze dei consumatori (la cultura, latu sensu) e l’avanzamento tecnologico. Solo quando questi due fattori si orientano in direzione appropriata diventa plausibile pensare ad un aumento del Prodotto interno lordo (Pil) che si accompagni ad un rallentamento della dissipazione di risorse naturali. Altrimenti, come già ho avuto modo di scrivere su greenreport, non ci resta che la decrescita.
Vorrei abbozzare una riflessione sul cambiamento tecnologico. Perché non si producono su vasta scala automobili elettriche? Perché in molti paesi poveri non si introducono tecniche anche semplicissime che ridurrebbero sensibilmente i ritmi di deforestazione? Perché, viceversa, si introducono così frequentemente cambiamenti tecnici tali da rendere obsoleti, inutilizzabili (o almeno indesiderabili) oggetti ancora perfettamente in grado di soddisfare bisogni? Non occorre in questo caso pensare necessariamente alla moda, settore nel quale per definizione l’innovazione di prodotto non mira a soddisfare nuovi bisogni; dinamiche economicamente simili si producono con tutta evidenza anche nei settori informatico e delle telecomunicazioni.
La risposta è semplice, ma molto spesso non ci riflettiamo abbastanza: il progresso tecnico, che si può sempre concettualizzare come l’ottenimento di una maggiore quantità di output con l’impiego di una medesima quantità di input (o, in senso ecologicamente preferibile, come l’ottenimento del medesimo output a partire dal minore impiego di input; o, in senso ancora più generale, la realizzazione di output diversi – ma volti a soddisfare i medesimi bisogni – tramite l’impiego di input diversi) non è un fatto tecnico, ma sociale. Vi sono ampie regioni rurali dell’India (la medesima India di Bangalore, l’India famosa degli ingegneri e dei matematici, dove certo le conoscenze tecniche sono di tutto rispetto) nelle quali le tecniche produttive agricole sono invariate da secoli. In quelle regioni semi-feudali, infatti, i proprietari terrieri non hanno convenienza ad ammodernare le tecniche. Ciò accade perché essi, in quel contesto sociale, non sono solo proprietari terrieri, ma anche prestatori di danaro ai contadini loro sottoposti, troppo poveri per essere considerati bancabili nel circuito del credito formale.
Bene, che cosa implicherebbe allora il progresso tecnico per le tasche di quei proprietari terrieri? Se il progresso tecnico si materializzasse nel senso che a noi, ecologicamente, piace, se cioè consistesse nell’ottenimento del medesimo output a partire da input ridotti, è chiaro che in tal caso i contadini avrebbero bisogno di meno prestiti per cominciare il processo produttivo: il proprietario terriero/banchiere si impoverirebbe. Se invece il progresso tecnico consistesse nelle realizzazione di più output a parità di input allora il contadino – tenuto ai tempi del raccolto a cederne una parte al padrone – sarà meno povero (potrà trattenere per sé il tot per cento di un raccolto più generoso) e dunque, ancora una volta, avrà meno bisogno di ricorrere ai prestiti del proprietario terriero/banchiere. Morale della favola: il proprietario terriero non ha convenienza ad introdurre cambiamento tecnico e le tecniche produttive si ripetono per secoli uguali a se stesse. Principi del tutto simili, mutatis mutandis, si applicano al caso delle auto elettriche, dei fornetti in Malawi, ecc.: in ogni caso occorre studiare quali ostacoli di natura socio-economica, quali rapporti di potere economico impediscono l’introduzione di progresso tecnico environment-friendly. Ciò che rende difficile la crescita sostenibile non è un limite di natura fisica, ma la stratificazione dei rapporti sociali. In altri termini: se si ritiene che invalicabili limiti di natura fisica rendano impossibile la crescita sostenibile, non ci resta che la decrescita; se invece si ritiene – come io sono incline a fare – che le barriere siano di natura socio-politica, la strada della crescita sostenibile diventa possibile, purché naturalmente si immaginino modalità per superare quelle barriere. Ne riparleremo. Per intanto occorre aver capito che le prospettive di analisi sono radicalmente diverse.

* docente di economia per lo sviluppo all’Università di Pavia

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