[20/07/2007] Comunicati

Petrolio, miniere guerra e povertà, il paradosso africano

LIVORNO. Molti Paesi africani vivono dello sfruttamento delle loro risorse naturali, in particolare dell’estrazione di risorse del sottosuolo. Si stima che, dal 1990 in poi, il 65% degli investimenti stranieri in Africa riguardino il petrolio, il gas e le miniere, ma questo afflusso imponente di investimenti e infrastrutture dedicate, come ci ricordano periodicamente i sequestri di tecnici stranieri nel Delta del Niger, non si é tradotto in un significativo miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali.

Al contrario, si constata sempre di più una coincidenza tra la presenza di risorse naturali e la povertà, la corruzione, l’instabilità politica, la dittatura ed i regimi autoritari, gli scontri etnici e la guerra vera e propria. Molti paesi ricchi di gas e petrolio, come Angola e Nigeria, hanno tassi di povertà elevati e raggiungono livelli di sviluppo umano tra i più bassi del pianeta.

Studi condotti dalla Banca mondiale e da altri organismi internazionali dimostrano che una delle cause essenziali di questo paradosso é la bassa qualità dei governi nazionali alla quale si aggiunge la mancanza di trasparenza nel settore estrattivo, con una commistione inestricabile tra multinazionali, magari non più solo occidentali ma anche cinesi, ed elite locali. Senza rimuovere questi ostacoli sarà difficile ridurre la povertà e ridistribuire parte dei proventi che derivano dalle risorse petrolifere e minerarie.

L’unica cosa che abbonda in Africa insieme alle risorse del sottosuolo sono le armi con cui eserciti nazionali, armate private, guerriglieri etnici e signori della guerra si disputano, per conto di Paesi stranieri ed imprese mondiali, le ricchezze immense di un continente che rimane povero.

La Banca mondiale ha lanciato un’iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive (alla quale hanno recentemente aderito 26 Paesi africani), per avviare un processo che, coinvolgendo governo, imprese statali e private, società civile ed esperti, organizzi comitati nazionali per la pubblicazione di rapporti che contengano dichiarazioni certificate dei pagamenti versati dalle compagnie petrolifere e minerarie e la dichiarazione delle entrate riscosse dai governi. Che dovrebbero almeno corrispondere. Poi il rapporto dovrebbe essere reso pubblico.

Rimane il mistero di come simili documenti possano essere resi pubblici da regimi che riempiono i loro conti segreti all’estero con le sostanziose bustarelle che derivano dalla svendita delle risorse nazionali o come una società civile debolissima e impaurita ed un’opposizione politica spesso perseguitata possano controllare governanti e militari.

Eppure, dice la stessa Banca mondiale, «le rendite provenienti dalle industrie estrattive sono proprietà della nazioni, ed appare importante che meccanismi di raccolta, distribuzione e utilizzo di queste rendite siano chiari ed accettabili per tutti».
Le analisi economiche dimostrano che tra il 2000 ed il 2010 i governi africani avranno incassato più di 300 miliardi di dollari provenienti dall’estrazione di petrolio e nello stesso tempo, vista la domanda crescente delle materie prime e dei loro prezzi, progettano un aumento imponente delle entrate minerarie.

In Africa l’interminabile guerra nel Congo viene chiamata comunemente la prima guerra mondiale africana e conflitti e genocidi nascondono una lotta mondiale per il possesso di coltan, diamanti, petrolio, oro e bauxite e di tutto quello che si trova sotto il ricchissimo e sfortunato continente, senza una svolta nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo non solo sarà difficile parlare di pace ma anche di sviluppo equo e sostenibile ed i bambini soldato torneranno spesso a turbare, con i loro kalashnikov, i loro machete e la loro immagine di insensata ferocia, la nostra tranquillità televisiva...

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