[25/07/2007] Parchi

Gli incendi bruciano la coscienza civile

LIVORNO. L’Italia brucia e due poveri cristi muoiono a Peschici, ennesime vittime di una “follia” incendiaria che devasta il nostro Paese da nord a sud e che lo scorso anno ha ingoiato quasi 40 mila ettari di foreste e macchia mediterranea, con 5.643 incendi boschivi, praticamente tutti per colpa dell’uomo e almeno il 60% appiccati intenzionalmente.

Oggi, davanti ai roghi di grandi parchi naturali e di aree che sarebbero destinate a diventare protette, nessuno parla più di piromani, di malati, ma le parole “omertà”, “terroristi” e “criminali incendiari” non sono più un tabù, nemmeno per i rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell’ordine che evidenziano, in alcune regioni, la partecipazione onnipresente della criminalità organizzata.

Non sono bastati l’inasprimento delle leggi, il divieto di costruire sui terreni percorsi dagli incendi, i 131.000 i controlli in tre anni da parte del Corpo Forestale dello Stato, i 256 sequestri, le 66 perquisizioni, le 1.459 persone identificate e denunciate, e i 63 arresti negli ultimi 4 anni. Il fenomeno si placa momentaneamente, cova sotto la cenere e riesplode alla prima sciroccata, ed il fuoco cammina, divora boschi, portato da mani esperte e da gambe ed occhi che mostrano di conoscere bene i luoghi più nascosti e vulnerabili e magari le mosse e le falle dell’apparato di sorveglianza antincendio, uno dei migliori a livello europeo e con punte di eccellenza in alcune regioni.

Ma c’è qualcosa di più e peggio in quello che, vista con occhio distratto, potrebbe sembrare uno spreco insensato ed enorme di bellezza, vita e ambiente, in quel che sembra una follia.

All’epoca dei devastanti (e omicidi) incendi elbani di qualche anno fa all’Elba, Legambiente parlò di componente “tribale”, di “marcatura del territorio attraverso il fuoco”, di atti dimostrativi ed intimidatori contro le squadre di Protezione Civile, qualcosa di diverso, e forse più diffuso di quanto si pensi, degli incendi appiccati per favorire speculazioni edilizie in comuni che si “dimenticano” l’obbligo del catasto delle aree percorse dagli incendi, oppure di chi applica il primitivo metodo del “brucia e coltiva” non per far crescere il mais e la manioca, ma per far spuntare finanziamenti e creare poveri e precari posti di lavoro nei rimboschimenti.

Se si guarda bene però, ognuna di queste ipotesi si regge e sta insieme grazie ad un’idea della cosa pubblica e dell’interesse comune, o meglio della sua mancanza, che trova negli incendi il suo esempio più eclatante, visibile ed immediatamente distruttivo: la parcellizzazione dell’idea di comunità, la mancanza di senso dello Stato, del bene comune, dell’ambiente come risorsa da mantenere per noi e per le generazioni future. Un atteggiamento che, portato alle estreme conseguenze di un innesco incendiario, può distruggere biodiversità e vite umane.

Gli incendiari sembrano la punta più avanzata di quello strano anarchismo individuale e di gruppo italiano che si ferma sulla porta di casa propria, di quel diffuso atteggiamento nazionale che vede nell’ambiente una cosa di nessuno e che rende possibile ignorare i vincoli delle aree protette, le regole dello Stato, i piani urbanistici, nel nome di un interesse privato, piccolo o grande che sia, che è visto come comunque prevalente, quasi sacralizzato, intangibile.

Gli incendiari, almeno quelli che vengono presi, sono di solito persone comuni, spesso dimesse, spesso ben inserite in gruppi ristretti, a volte usate, “mandate avanti”, gente come noi, le “brave persone” delle interviste televisive appunto, ma con un rabbioso senso di possesso del territorio e di esclusione che li porta ad essere disponibili a distruggere ciò che non possono avere, anche come mezzo per ottenerlo.

Il contraltare sul quale sfogare rabbia e frustrazione, al quale chiedere soldi e cemento impossibile, è sempre e comunque un’istituzione, i nemici sempre e comunque, i volontari antincendio, le forze dell’ordine le associazioni ambientaliste. Lo Stato “cattivo e taccagno” e chi ha un’idea della partecipazione dei cittadini alla difesa dell’ambiente e del futuro che non è fatta di assistenzialismo ed abusivismo ma di partecipazione e rispetto.

E con ogni albero che brucia, brucia ogni giorno di più un pezzo della coscienza civile, della capacità di stare insieme con regole condivise, di questo Paese.

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