[01/08/2007] Consumo

FederBio sui dati Apat: «Basta soldi pubblici a chi usa pesticidi»

LIVORNO. «I dati diffusi dall’Apat sulla presenza di decine o addirittura centinaia di diversi pesticidi chimici di sintesi nelle acque italiane sono l’evidenza del fallimento delle politiche agroambientali fin qui applicate e della necessità che con i nuovi piani di sviluppo rurale si cambi radicalmente rotta, puntando sull’agricoltura biologica». Il presidente di FederBio, Carnemolla, commenta così i dati presentati dall’Apat ieri sulla contaminazione da pesticidi chimici di sintesi delle acque superficiali e profonde italiane.

«Non siamo contrari all’uso razionale della chimica di sintesi in agricoltura – sostiene sempre il presidente - ma è del tutto evidente che la contaminazione ambientale rimane un grave problema, come dimostra anche la moria di insetti utili denunciata di recente dagli apicoltori. Non ha però senso che l’agricoltura chimica continui ad essere sostenuta con i soldi pubblici, come prevede la gran parte dei nuovi piani regionali di sviluppo rurale, dove si dichiarano obiettivi di carattere ambientale e di tutela delle acque e poi si continuano ad erogare risorse anche rilevanti all’agricoltura chimica o a misure parziali, non in grado di ridurre in maniera drastica l’impiego di pesticidi di sintesi e quindi di tutelare efficacemente le risorse naturali e la biodiversità».

«Chiediamo alla politica – conclude Carnemolla - e alle organizzazioni a vocazione generale che in questi giorni stanno avviando la mobilitazione per un’agricoltura italiana di qualità, di fare scelte chiare e coerenti, sostenendo in maniera esplicita e forte, in ogni sede e non solo a parole, l’agricoltura biologica».

La questione è delicata, perché come ha ricordato Carnemolla l’uso razionale della chimica di sintesi in agricoltura viene accettata anche da Federbio. Di certo, però, come sostiene Carnemolla, non si contrasta l’uso dei pesticidi con finanziamenti pubblici che vanno nella direzione opposta. L’agricoltura biologica, quindi, è davvero l’obiettivo a cui tendere. Nel senso che la conversione di tutta l’agricoltura tout court dovrebbe mirare a essere il più possibile sostenibile dal punto di vista ambientale. E questo pur sapendo bene che la strada è molto difficile, che serve un cambio di mentalità enorme (vedi i dati pur buoni del biologico, ma sempre alla soglia della nicchia), che ci sono oggettivi problemi di difesa delle coltivazioni e costi da sostenere ingenti.

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