[01/08/2007] Consumo

Cia e Coldiretti: «I prezzi che aumentano non sono colpa degli agricoltori» (e dei biocarburanti)

LIVORNO. Salgono i prezzi, in Italia, in Europa e nel mondo e gli agricoltori si difendono. Per la Confederazione italiana agricoltori (Cia) «l’agricoltura italiana non è la causa dei rincari dei prodotti alimentari. I prezzi agricoli all’origine in un anno (giugno 2006-giugno 2007) sono, infatti, diminuiti in media del 2,4%, con cali record per frutta (meno 15,3%), ortaggi (meno 11,6%), suini (meno 11,8%) e bovini (meno 8,5%)».

E l’incremento del costo del grano intorno al 20% non dovrebbe far aumentare di troppo i costi di pane e pasta, visto che, spiega la Cia «oggi il grano duro in Italia ha una quotazione di 26 euro al quintale, praticamente la stessa cifra del 1985, quando era pari a 50 mila lire (25,8 euro)».

E allora perché gli aumenti annunciati e temuti? Per la Cia «sono determinati da altri fattori: le filiere agroalimentari troppo lunghe, la logistica infrastrutturale, i trasporti insufficienti e costosi, gli incrementi tariffari, la crescita delle importazioni delle derrate alimentari e, non ultime, le speculazioni. Se si analizza, in particolare, l’andamento del frumento - sottolinea la Cia - si riscontra che le quotazioni estere, soprattutto nel mese di luglio registrano incrementi più accentuati (più 25 per cento) rispetto a quelli dei prodotti nazionali.

La causa degli incrementi dei cereali (specialmente del frumento) sui mercati mondiali è da attribuire al calo delle produzioni causato dal cattivo andamento climatico. Va, però, rilevato che per quest’anno è prevista una risalita produttiva che dovrebbe riequilibrare l’attuale situazione».

Ma i prezzi gonfiano dal campo alla tavola, anche di venti volte nel settore dell’ortofrutta, in media il prezzo pagato al produttore è tra il 18 e il 20% di quello che paga il consumatore.

L’altra grande organizzazione agricola, la Coldiretti, respinge l’accusa che i rialzo dei prezzi dei generi alimentari in Europa possano essere determinati dall’utilizzo di cereali e soia per i biocarburanti. Coldiretti sottolinea che dallo studio della Commissione Europea sull´impatto sui mercati alimentari e non alimentari dell´Ue e sul mercato mondiale, dell´applicazione dell´obiettivo minimo del 10% di biocarburanti entro il 2020 «emerge che la produzione di bioenergia rappresenta una delle maggiori opportunità per l´agricoltura comunitaria e che il tasso di incorporazione del 10%, fissato come obiettivo dalla Commissione Europea, potrebbe garantire una via sostenibile nel fornire all´Ue carburanti rinnovabili per il trasporto senza compromettere il mercato alimentare e mangimistico domestico e quello non alimentare.

«Una conclusione - prosegue - che rende evidente l´inconsistenza degli allarmi lanciati in Italia dove peraltro si registrano pesanti ritardi nello sviluppo di energie alternative provenienti dalle coltivazioni agricole nazionali e, ad oggi, non c´è neanche l´ombra di biocarburanti nei distributori nonostante gli obiettivi fissati dalla finanziaria, che prevede che i biocarburanti come il biodiesel o il bioetanolo ottenuti dalle coltivazioni agricole debbano essere distribuiti in Italia nel 2007 in una quota minima dell´uno per cento di tutto il carburante (benzina e gasolio) immesso in consumo».

Per raggiungere l’obiettivo 10% di biocarburanti nell’Ue occorrerebbero 59 milioni di tonnellate di cereali (18% del consumo), secondo Coldiretti questo potrebbe essere ottenuto con «un aumento annuo minimo dell´1% nelle rese per un valore di 38 milioni di tonnellate mentre altre 14 milioni di tonnellate potrebbero essere offerte dalla messa a coltura di due milioni di ettari attualmente destinati a riposo (set aside) e il resto attraverso le importazioni. Secondo quanto riportato, le importazioni da Paesi terzi dovrebbero provvedere a soddisfare circa il 20% del consumo di carburante, di questo circa la metà dovrebbe derivare da materiale di estrazione di prima generazione e soprattutto oli di semi e oli vegetali, e pertanto l´incidenza sui mercati agricoli sarà limitata».

Con queste cifre secondo Coldiretti i prezzi dei cereali soia e oliginose rimarrebbero stabili, il mais e il girasole aumenterebbe di poco. «Globalmente, le superfici destinate alla produzione di biocarburanti ammonterebbero a 17,5 milioni di ettari nel 2020 e nuovi posti di lavoro potrebbero essere creati nelle attività a valle e nella trasformazione dei biocarburanti».
Cifre convincenti, ma con un problema: si riferiscono alla ricca Europa, alla sua agricoltura fortemente sovvenzionata, alla possibilità di utilizzare terreni abbandonati ed a riposo, frutto anche questi del benessere e dell’intensificazione delle produzioni agricole. Bisogna capire se queste sono le condizione presenti (e non lo sono) nei Paesi in via di sviluppo che, come dice la Fao, sono quelli che stanno subendo di più l’impatto dei cambiamenti climatici, dell’aumento dei prezzi e dello spostamento di una frazione di produzione agricola e di uso dei suoli verso la produzione di biocarburanti. Posti dove il problema non è il rialzo del costo dell’uva o delle pesche al supermercato, ma la sopravvivenza.

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