[06/08/2007] Acqua

Bush, il global warming e le persone in carne ed ossa

LIVORNO. Negli Usa si avvicinano le elezioni presidenziali e i Democratici cercano di colpire Bush dove sembra fare più male: i temi ambientali. Sabato la Camera dei rappresentanti ha approvato un provvedimento, fortemente voluto dalla speaker democratica Nancy Pelosi, che in 786 pagine mette insieme una dozzina di proposte di legge presentate negli ultimi mesi. La cosa non è piaciuta molto al partito Repubblicano e Bush si prepara a mettere il veto perché secondo loro questo potrebbe far alzare i costi dell’energia. La legge ha un nome lunghissimo: “New direction for energy independence, national security, and consumer protection act” e punta, sul modello europeo, ad un aumento a livello federale fino al 15% del totale delle energie rinnovabili entro il 2020, con una progressiva riduzione del contributo di petrolio, gas naturale e carbone, ma anche alla rinegoziazione delle concessioni per le perforazioni petrolifere nel Golfo del Messico.

Tutto questo avverrebbe attraverso l’utilizzo della leva fiscale ed il pagamento di penali per le industrie che non si adeguano: si calcola che le nuove misure nei prossimi 10 anni costerebbero circa 16 miliardi in nuove tasse alle multinazionali petrolifere Americane come Exxon Mobil, ConocoPhillips e Chevron. Una ricetta più che indigesta per i Repubblicani e per i loro sostenitori petrolieri. Il Senato Usa aveva già approvato misure di risparmio per le auto, imponendo un limite di 35 miglia per il gallone di carburante entro 2020, sollevando le ire di General Motors e Ford.

Ma dal Senato arriva anche un’altra proposta, stavolta presentata dall’indipendente Joseph Lieberman e dal repubblicano John Warner, rispettivamente presidente e membro del “Senate subcommittee on private sector and consumer solutions to global warming and wildlife protection”, si tratta dell’America´s climate security act, a quanto pare molto apprezzato dalla maggioranza dei senatori, che prevede il contenimento ai livelli attuali delle emissioni di gas serra entro il 2012, una riduzione del 10% entro il 2020, e del 70% sotto i livelli attuali entro il 2050.

Previsioni che non soddisfano gli ambientalisti americani, ma che bastano a far imbufalire l’amministrazione Bush che ci vede una vicinanza fin troppo palese con le misure dell’odiato Protocollo di Kyoto, i programmi più avanzati dell’Ue e i progetti dell’Onu per un nuovo e più stringente accordo sulle emissioni già nel 2009, in vista della scadenza degli impegni di Kyoto nel 2012.

E allora Bush tenta di giocare di anticipo ed in proprio, cerca di scavalcare le Nazioni Unite e il convegno mondiale convocato a Bali per dicembre, "invitando" Onu, Unione Europea (parteciperanno anche delegazioni nazionali di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna) ed 11 Stati industrializzati ma ancora in via di sviluppo, a un congresso a Washington per il 27-28 settembre, nel quale si dovrebbero definire regole e misure di lunga durata per tagliare le emissioni e che entrerebbero in vigore già nel 2008. Un lavoro che Bush, preoccupato per la rilevanza che i temi “verdi” stanno assumendo tra l’elettorato americano e per il ruolo che sta giocando in questo campo il suo ex sfidante (e vincitore nel voto popolare) Al Gore, ha già iniziato a fare a livello nazionale, convocando i maggiori produttori di energia e le industrie responsabili delle maggiori emissioni di CO2, gli stessi gruppi di pressione e le stesse lobby petrolifere che hanno fatto in modo che Bush non ratificasse il Protocollo di Kyoto ritenuto troppo oneroso e dannoso per le industrie Usa.

Condoleezza Rice ha invitato al congresso due fedeli alleati degli Usa nella polemica su Kyoto: Australia e Canada, poi la Russia che al Protocollo ha aderito per ultima, il Giappone e soprattutto gli emergenti, anche per livello di inquinamento ed effetto dei cambiamenti climatici sul loro ambiente: Corea del sud, Indonesia, Sudafrica, Messico, Brasile, Cina ed India, sempre più vicina agli Usa dopo la recente firma di un trattato per il nucleare.

E proprio dall’Asia e dal subcontinente indiano vengono brutti segnali per l’iniziativa di Bush che sembra in bilico tra le preoccupazioni elettorali interne, la negazione o minimizzazione dei dati scientifici dell’Ipcc, il sordo contrasto alle iniziative dell’Ue e il rifiuto del Protocollo di Kyoto.

Infatti, mentre Bush e la Rice convocano i grandi e gli aspiranti tali in un super G8 allargato, i peggiori monsoni degli ultimi anni hanno ucciso centinaia di persone non solo nei poverissimi Bangladesh e Nepal, ma anche nella rampante India, e l’Onu invoca azioni urgentissime per il risanamento dell’acqua potabile, per aiuti alimentari, medicine e cure alla popolazione travolta dalle acque e da giorni interi di piogge torrenziali che hanno fatto traboccare sbarramenti e dighe, mentre i ghiacciai Hymalaiani fondono per caldo ed inquinamento.

Occorrono subito almeno 1,5 milioni di dollari per salvare dalla fame certa 60 mila persone nel solo Nepal, mentre nell’altra potenza nucleare dell’area, il Pakistan, precedenti alluvioni hanno spazzato via 1.400 scuole in Belutcistan e nel Sind, e i bambini rischiano di non ricevere nemmeno la loro minima educazione per molto tempo se non arriveranno gli 872 mila dollari necessari per la ricostruzione.

Insomma, mentre i grandi della terra si convocano e si scavalcano in un risiko planetario di geopolitica ambientale ed energetica, il global warming acutizza i fenomeni meteorologici normali, come i monsoni asiatici o gli uragani americani, ed innesca nuovi fenomeni sempre più imprevedibili e violenti, ed a farne concretamente le spese sono uomini e donne e bambini in carne ed ossa che vedono stravolte le loro povere vite, quando riescono a mantenerle, che noi guardiamo distrattamente, in una sfuggente finestra di acqua melmosa e misera desolazione che ci apre un qualche laconico telegiornale, come se quelle vite sconvolte fossero numeri di un grande gioco che ha per posta i destini del pianeta.

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