[07/08/2007] Consumo

Fochi sulla chimica: «Si nota più il poco che fa male del tanto che fa bene»

LIVORNO. Tra l’oblio più totale della stampa nazionale generalista, si sta svolgendo in questi giorni a Torino il congresso internazionale della chimica pura e applicata organizzato dalla Iupac, l’ente che a livello mondiale registra ufficialmente le masse atomiche, stabilisce i metodi di misura e convalida la terminologia, assegnando anche i nomi agli elementi. Migliaia i ricercatori giunti da tutto il mondo che discuteranno sotto l’egida di tre premi Nobel Roald Hoffmann (1981), Robert Huber (1988), e Kurt Wuethrich (2002), anche del ruolo che può avere oggi la chimica nello sviluppo sostenibile del pianeta.

A Gianni Fochi, ricercatore in chimica alla Scuola Normale Superiore e professore di chimica alla facoltà di agraria dell’università di Pisa chiediamo quale può essere questo ruolo.

«La chimica oggi può fare molto per la sostenibilità soprattutto sfruttando le possibilità apertesi negli ultimi anni con le nanotecnologie, la gnomica, proteomica… e le ricadute possono essere fortemente innovative anche nel settore farmaceutico. In questo congresso per esempio sarà presentato lo sviluppo di catalizzatori di reazioni, che funzionano sfruttando l’energia del sole per distruggere sostanze inquinanti. Ma più in generale la chimica può aiutare a indirizzare l’industria verso processi industriali più sostenibili, che hanno un prezzo inferiore per la salute e per l’ambiente».

L’Italia è stata caratterizzata finora da una massiccia presenza di “chimica pesante” a discapito della chimica cosiddetta fine. Quanto ha influito questo nella ricerca?
«In Italia abbiamo ottimi ricercatori, anche perché il programma “Responsible care” (Responsabilità e premura) di Federchimica va di pari passo proprio con le ricerche di gruppi universitari e industriali. Attualmente la ricerca chimica si sta infatti dando da fare per inventare processi più ecocompatibili e/o prodotti in grado di sostituirne altri più inquinanti. Sotto questo aspetto in Italia non siamo indietro, e semmai quella che ora regredisce nel nostro Paese è proprio la grande industria chimica: pian piano ci troveremo colonizzati dalle multinazionali».

Perché la chimica è generalmente percepita in modo negativo dall’opinione pubblica?
«In parte perché sconta ancora i peccati commessi in passato. In particolare ci sono stati settori dell’industria chimica che non si sono fatti scrupoli vedi per esempio Marghera, e casi magari isolati hanno inficiato tutta la categoria, perché si nota molto di più il poco che fa danno rispetto al tanto che fa bene».

Ma adesso possiamo dire che la situazione è diversa?
«Certo, questo accadeva decenni fa. L’attenzione oggi è molto alta, le statistiche dimostrano un significativo miglioramento delle emissioni inquinanti, e si potrebbe anche citare la riduzione di infortuni sul lavoro.

Qual è oggi il rapporto della chimica con l’ambiente e con l’ambientalismo?
«Si va a ondate e mode. Come 40 anni fa nessuno si poneva problemi di carattere ecologico all’insegna dello sviluppo e del trionfalismo, ora con la stessa esagerazione si evidenziano certi difetti dimenticando che il bilancio è largamente favorevole: la chimica ha provveduto indubbiamente all’innalzamento del benessere collettivo.

Le associazioni ambientaliste hanno un importante ruolo di pungolo e stimolo per migliorare però non bisogna neppure negare che spesso certe frange prendano cantonate clamorose. Ultimamente comunque quello che si è sviluppato in modo proficuo per entrambi è il dialogo tra le parti, che darà sicuramente buoni frutti nel prossimo futuro»

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