[17/08/2007] Comunicati

Global warming, Vincenzo Ferrara spiega a greenreport la ´strategia dell´adattamento´

LIVORNO. Il coordinatore della seconda Conferenza nazionale sul clima che si terrà nell´autunno 2007, Vincenzo Ferrara (Nella foto), è l’ospite d’eccezione del convegno in programma stasera a Festambiente, il festival ecologista che si conclude domani nella tradizionale cornice di Rispescia, nel parco della Maremma.
Ferrara, climatologo dell´Enea che è stato anche Focal Point nazionale dell´Ipcc dal 1992 al 2006, sarà chiamato ad illustrare la nuova strategia che il governo intende affrontare per fronteggiare l’emergenza derivata dai cambiamenti climatici.

La strategia è quella dell’adattamento, come ha annunciato più volte il ministro Alfonso Pecoraro Scanio. Professor Ferrara può spiegarci in cosa consiste esattamente?
«La strategia dell’adattamento è tesa a prevenire i danni derivati dai cambiamenti climatici, cioè a non rassegnarci ma a prevenire. L’obiettivo è far cambiare la mentalità ai pianificatori e programmatori del territorio, perché oggi quando si pianifica non si tiene conto del fatto che probabilmente tra 20 o 30 anni le cose in quel determinato contesto territoriale saranno profondamente cambiate e l’opera realizzata potrebbe non essere più tanto sicura o funzionale».

Partiamo da qualche esempio concreto.
«Benissimo, supponiamo che io debba fare un rigassificatore in riva al mare. Faccio la valutazione di impatto ambientale, faccio tutte le analisi del caso e alla fine si giunge all’autorizzazione. Ebbene siccome un rigassificatore non viene fatto per durare un anno la valutazione deve invece essere fatta anche su quelle che saranno probabilmente le condizioni tra 40-50 anni, perché in questo caso per esempio, ci sta benissimo che mi ritrovi un impianto che a causa dell’innalzamento del mare finisce sott’acqua nel giro di qualche anno. Lo stesso discorso valer quando progetto una strada o una ferrovia e non riguarda solo la costa, perché i cambiamenti climatici mutano anche le condizioni di rischio idrogeologico che deve quindi essere valutato a lungo termine».

Detta così può sembrare però che strategia di adattamento equivalga a dire ci rassegniamo ai cambiamenti climatici cercando di subire meno danni possibile.
«La conferenza sul clima non è un punto di arrivo, ma solo di partenza, dove si considerano tutti i problemi prioritari: acqua, agricoltura, sistema costiero e rischio idrogeologico, oltre ad alcuni focus specifici su biodiversità, foreste, salute, pesca. La conferenza dà tutti gli elementi perché poi si faccia un programma nazionale dell’adattamento, affiancato a quello della mitigazione degli impatti ambientali - che agirà soprattutto sui temi dell’efficienza e del risparmio energetico – e che avrà quindi il compito di opera fattivamente per rallentare ed auspicabilmente fermare i cambiamenti climatici».

Tornando alla strategia dell’adattamento, non ritiene che dovrebbe essere rivolta non solo ai pianificatori, quindi agli enti spesso territoriali, ma anche e forse soprattutto ai controllori, ovvero a chi materialmente esegue le valutazioni ambientali e poi dà il via libera per il rilascio delle autorizzazioni?
«Certo. Una volta realizzato questo programma nazionale dell’adattamento, tutto deve essere coordinato a livello governativo, e tutti i ministeri, nessuno escluso, saranno coinvolti. Pensi per esempio al ministero dell’università e della ricerca, apparentemente c’entra poco e invece sarà uno dei protagonisti di questa lotta, perché dovrà indicare come priorità della ricerca tematiche legate al clima. Quindi la strategia dell’adattamento si concretizzerà attraverso strumenti legislativi e pianificatori, ma anche di formazione professionale dei vari soggetti coinvolti in ogni processo autorizzativo e non ultimo di informazione ai cittadini, chiamati sempre di più a consapevolizzarsi sulla necessità di valutare bene costi e benefici di ogni azione al fine di minimizzare i danni ambientali».

Questa strategia dell’adattamento ha precedenti in altri Paesi?
«Diciamo che come spesso avviene l’Italia arriva un po’ dopo gli altri. I Paesi del Nord Europa hanno già tutti un proprio programma di adattamento, anche la Spagna lo ha recentemente approvato e perfino un governo di destra come quello francese ha subito messo come priorità l’attenzione ai cambiamenti climatici».

Parliamo del clima vero e proprio. Qualcuno utilizza questa estate né torrida né fresca, piuttosto “comune”, per sostenere che quelli sui mutamenti climatici sono allarmismi inutili.
«Il clima non è fatto solo dalla temperatura e il bacino del Mediterraneo è tra i territori più rischio, anche se i fenomeni sono meno evidenti, ma solo per chi guarda le cose con superficialità. Negli ultimissimi anni per esempio i ghiacciai alpini italiani hanno perso il 50% del loro volume, e questo significa stravolgere interi territori dal punto di vista della disponibilità di acqua e della franosità del terreno. Il rischio idrogeologico in effetti sta diventando sempre più forte perché le precipitazioni sono molto diverse dal passato: dove qualche anno fa si assisteva a medie di 80-100 millimetri di pioggia al mese, oggi si verificano temporali che scaricano in un giorno 200-300 millimetri d’acqua per poi attraversare lunghi mesi di siccità. Quando poi si parla di desertificazione non bisogna pensare al Sahara, ma alla mancanza di vita e produttività dei suoli, esattamente quello che sta accadendo ai delta dei più importanti fiumi del nord Italia: quando le falde acquifere si abbassano e il cuneo salino entra rende il suolo deserto, e la superficie viene solo apparentemente mantenuta viva grazie alle dosi sempre più massicce di fitofarmaci che vengono date alle coltivazioni».

Poi ci sono tutti i problemi derivati.
«Esatto, la desertificazione da una parte, l’erosione dall’altra (che in Italia creerà problemi a 1400 chilometri di coste e a 33 aree depresse), così come la tenuta idrogeologica, la scarsità di risorse per esempio idriche, possono creare questioni sociali enormi, che vanno per prima cosa a coinvolgere la distribuzione del reddito: basta pensare al turismo. Per non parlare delle conseguenze sociosanitarie, con nuove malattie che pian piano si affacceranno nelle nostre città. Per questo la conferenza sul clima punta a coinvolgere l’intero sistema-Paese: il clima non è più un allarme che riguarda l’ambiente, ma tutti i settori economici, produttivi, sociali della nostra vita».
(db)

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