[23/08/2007] Energia

Nel risiko dell´energia mondiale le rinnovabili che peso hanno?

LIVORNO. Le vere assenti di questa estate segnata dagli ormai consueti fenomeni estremi in varie parti del mondo (non soltanto climatici, ma anche finanziari) sembrano essere le energie rinnovabili. Da un paio di mesi infatti i proclami mediatico-pubblicitari su eolico e solare, su risparmio ed efficienza, hanno lasciato il posto alle esigenze imposte dal nostro stile di vita: ovvero il caro vecchio combustibile fossile.

Ne è un esempio la nuova guerra fredda scoppiata per spartirsi le promettenti, ma costose riserve petrolifere delle profondità artiche, che ha già cominciato a ‘regalarci le sue perle’: la bandiera russa di titanio che “sventola” a 4200 metri di profondità; i dubbi amletici dell’ecologista Norvegia che si accorge ora di quanto siano vincolanti i vincoli del protocollo di Kyoto che fanno sprofondare sempre più lontano i “suoi” giacimenti sottomarini; gli Stati Uniti che scoprono improvvisamente che la Convenzione Onu sul mare non è l’ennesimo ostacolo alla politica iperliberista statunitense, ma anche l’opportunità per poter rivendicare anche loro un pezzo di Artide.

E poi ci sono i due maggiori protagonisti della scena latinoamerica, che contemporaneamente hanno intrapreso le loro tournée: il presidente brasiliano Lula in Honduras, Nicaragua, Panama e Giamaica per promuovere i suoi biocarburanti (rinnovabili sì, ma non privi di tantissime controindicazioni ambientali, a partire dalla deforestazione); mentre il collega venezuelano Chavez sbarca in Argentina, Uruguay, Ecuador e Bolivia per siglare accordi basati sullo sfruttamento (magari un po’ più equo e solidale rispetto ad altre parti del mondo) delle proprie riserve di gas e petrolio.

Ricerca e tecnologia sembrano venir impiegate ancora una volta per riuscire a mandare più a fondo le trivelle, per rendere meno costoso estrarre i sempre più lontani giacimenti di idrocarburi, per rinviare insomma quanto possibile l’impellente tipping point, cioè il picco di ciascuna fonte fossile.
Del resto guardando ai dati sui consumi di carburanti c’è poco da aspettarsi su questo fronte: solo in Italia la domanda totale di carburanti nel mese di luglio è stata pari a 1,1 milioni di tonnellate di benzina e a 2,3 milioni di tonnellate di gasolio, con un incremento complessivo del 3,6% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. In barba a tutti gli aumenti del costo della benzina.

«Credo che il discorso sia da inquadrare nella consapevolezza che i combustibili saranno sempre più cari – spiega Gianni Silvestrini, direttore di Qualenergia e consulente del ministero dello sviluppo economico – e che la disponibilità fisica di petrolio e gas sarà sempre più scarsa. In questo contesto è logico che il mondo finanziario cerchi di rilanciare anche gli idrocarburi accanto alle rinnovabili, che comunque oggi sono sicuramente il segmento che ha tassi di crescita maggiore, nell’ordine del 30-40% l’anno».

In Italia però questo grande sviluppo delle rinnovabili non sembra di vederlo.
«Le confesso che sono molto preoccupato per le opposizioni locali agli impianti di energia rinnovabile. Il caso di Benevento, con il presidente della Provincia costretto a dimettersi perché aveva proposto due impianti a biomasse mi lascia interdetto. Va ripensato i sistema e gli ambientalisti prima di tutti devono dare il loro contributo perché così non si può andare avanti».

Più che gli ambientalisti non ritiene che servirebbero regole e paletti precisi entro cui muoversi?
«I paletti li ha messi l’Unione Europea. E sono anche molto costosi per i Paesi che non li raggiungeranno».

Più che paletti l’Unione europea ha indicato degli obiettivi. Mentre in Italia non c’è un piano energetico nazionale che dica cosa (e dove) si può fare o non fare.
«Effettivamente nel nostro Paese scontiamo un grosso ritardo nell’emanazione delle linee guida, e penso per esempio all’eolico. C’è sempre stata una chiusura in questo senso da parte del precedente ministero dell’ambiente e speriamo che quello attuale si dia una smossa: senza linee guida nazionali, sono proliferati decreti regionali spesso privi di senso. Credo che questo sia il nodo da affrontare alla ripresa dell’attività governativa: snellire e semplificare le procedure autorizzative per le energie rinnovabili e coinvolgere attivamente gli enti locali, che significa che se sei bravo e contribuisci a raggiungere gli obiettivo del Protocollo di Kyoto avrai un ritorno economico, se invece blocchi lo sviluppo della sostenibilità allora dovrai pagare. Non aver responsabilizzato le Regioni ha prodotto questo ritardo energetico italiano».

A proposito di piano energetico regionale e di ritardi: l’anno scorso di questi tempi non si parlava che di rigassificatori. Dove è andata a finire la cabina di regia che doveva indicare i 3-4 impianti da fare scegliendoli dalla selva di progetti spuntati in tutta Italia?
«I singoli progetti di rigassificatori stanno andando avanti comunque, ognuno facendo i conti con le realtà locali per migliorarne i contenuti, e proprio il venir accettato dalla comunità locale dovrebbe essere la prima condizione per andare avanti nel progetto».

Ma così non si rischia che diventi soltanto una corsa a chi arriva primo? E che magari vadano avanti impianti in aree ritenute meno strategiche rispetto ad altri impianti più funzionali?
«A parte il fatto che non ci sono secondo me progetti più strategici di altri meno, l’importante è assicurare al Paese uno smarcamento dal petrolio e una diversificazione di approvvigionamento delle fonti in questa fase di transizione verso le rinnovabili, in ogni caso ritengo che a settembre sia doveroso fare una verifica per capire come si sono evolute le singole situazioni».

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