[23/08/2007] Parchi

L’Italia che brucia è malata di mancanza di politica ambientale

LIVORNO. Mentre in Sicilia arrivano i militari e viene chiesto lo stato di calamità, il fuoco che sta distruggendo l’isola la percorre da anni schivando case abusive, riforestazioni lucrose ed una macchina amministrativa farraginosa che non dà risposte “sane” di gestione territoriale. E’ anche per questo che i presidi territoriali “esterni”, come i parchi vengono presi più volentieri di mira come simbolo di “vincoli” da abbattere.

I poveri morti di questi giorni sono il risultato di una malattia che si chiama dissesto ambientale e territoriale ed i criminali incendiari ne sono i consapevoli propagatori. Il tutto nella regione a più forte rischio di desertificazione, dove le foreste bisognerebbe piantarle, non bruciarle. Eppure, nonostante le crudeli immagini televisive di questi giorni, il 2006 era stato un anno di calo degli incendi grazie al potenziamento della flotta aerea, delle squadre volontarie dello spegnimento delle reti di avvistamento che mettono insieme circa 50 mila volontari. Un’attività antincendio di buon livello, anche rispetto ad altre esperienze europee, con punte di eccellenza in Liguria e Toscana e in altre regioni del centro-nord, ed un vistoso buco nelle regioni del sud, Calabria e Sicilia in particolare, proprio le più colpite dagli incendiari.

«Ma per fermare questa piaga e uscire finalmente dall’emergenza – spiega Simone Andreotti, responsabile per la protezione civile di Legambiente - i comuni devono eliminare a monte la possibilità di speculare sulle fiamme con la realizzazione del catasto, fermando così gli incendi dolosi, che in Italia rappresentano il 65% delle cause dei roghi. Infatti, sebbene le attività investigative del C.F.S. per reprimere il fenomeno degli incendi siano sempre più intense e l’impiego di elicotteri e canadair, in ausilio alle squadre a terra si dimostri ogni anno più tempestivo ed efficace, è necessario fermare questo drammatico fenomeno, soprattutto eliminando “a monte” la possibilità di speculare sulla gestione delle aree bruciate. Il catasto delle superfici attraversate dalle fiamme, un’oculata manutenzione dei boschi, l’allargamento delle aree protette e dei parchi nazionali, sono attività destinate a diventare il valido e unico strumento per arginare la piaga degli incendi dolosi innescati per perseguire solo interessi specifici. Ovvero una lotta agli incendi boschivi a 360° da realizzare durante tutto l’anno, come prevede la legge quadro 353 in materia di antincendio boschivo approvata nel 2000, ancora oggi troppo spesso disattesa da parte delle amministrazioni comunali, che hanno invece in questa “battaglia” un ruolo fondamentale, strategico e insostituibile».

Intanto, gli incendi boschivi stanno trasformando in cenere le aree più belle del nostro Sud: i comuni più colpiti (60% nel 2006) per estensione e numero degli incendi sono in Calabria, segue la Sicilia con metà dei comuni attaccati dal fuoco.
Secondo “Ecosistema Incendi 2007” nel biennio 2004 – 2005 sono stati 2.245 comuni interessati dagli incendi, e solo il 6% applicare pienamente la legge quadro sugli incendi boschivi. Un comune su quattro realizza il catasto delle aree percorse dal fuoco, strumento fondamentale nella lotta agli incendi che se realizzato permette di eliminare a monte le motivazioni che spingono gli incendiari ad agire. L’informazione rivolta ai cittadini è quasi sempre carente: solo il 12% fa campagne informative specifiche. Invece, solo il 4% dei comuni svolge un lavoro di mitigazione degli incendi boschivi ottimo, mentre il 36% non fa ancora praticamente nulla per prevenire i roghi.

«A sette anni dall’entrata in vigore – spiega Andreotti - la 353/2000, legge quadro in materia di incendi boschivi, è ancora largamente disattesa da parte di molti comuni italiani, che potrebbero e dovrebbero invece essere i primi protagonisti di questa battaglia per contrastare il fuoco».

Proprio nel sud e nelle isole, dove il problema è più esteso e drammatico, i comuni sono più inadempienti: «più di due comuni su tre svolgono un lavoro complessivamente negativo in questa preziosa parte del nostro Bel Paese – spiega l’esponente di Legambiente - Migliore, ma pur sempre carente, la situazione al centro e al nord d’Italia, dove i comuni meritori comunque non raggiungono il 50%».
Eppure la legge quadro 353/2000 è tra le tra le migliori d’Europa: oltre ad assegnare chiaramente a regioni e comuni i compiti per impedire le speculazioni economiche che portano gli incendiari ad appiccare i roghi, con il catasto dei terreni percorsi dal fuoco, prevede il divieto di fare varianti urbanistiche per 15 anni nei terreni boscati bruciati, il divieto di costruire per 10 anni, il divieto di rimboschimento per 5 anni, il divieto di caccia e pascolo per 10 anni. Ma come dimostrano i fatti tragici di questi giorni quella legge rimane in gran parte disattesa. E la Sicilia che brucia e piange in queste ore è il fanalino di coda, refrattaria ad ogni indagine, ad ogni divieto, ad ogni applicazione della legge, ad ogni azione di tutela vera.

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