[27/08/2007] Comunicati

L´«ecosocialismo» dell’Equador e il debito internazionale

LIVORNO. L’America Latina, con i suoi regimi progressisti, nazionalisti ed originali, sembra diventata il laboratorio di una nuova politica che mette in dubbio i postulati della globalizzazione liberista, opponendo temi che, dopo una fiammata, sembrano essere diventati meno caldi nell’occidente da cui nacque il movimento no-global.

Forse perché il turbocapitalismo e le politiche del Fondo Monetario Internazionale (e della Banca Mondiale, nonostante la recente conversione “ambientalista”) toccano nella carne Stati e popolazioni poveri ed impoveriti, si sta cominciando a rivedere i meccanismi dello sfruttamento delle risorse ambientali.

E’ quanto successo all’incontro che si è tenuto a Quito, capitale dell’Equador, nell’incontro dei movimenti di America latina e Caraibi sul debito ecologico dove si è messo in discussione l’assunto che tiene in piedi il meccanismo dei rapporti tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo: il debito. «Quien debe a quien», chi deve a chi, si sono chiesti le Ong ed i movimenti di solidarietà sociale sostenuti dal nuovo governo di Rafael Correa, un impasto di progressismo “ecologico”, nazionalismo antimperialista e riconoscimento (finalmente) dei diritti e della forza politica delle etnie indie che in Equador rappresentano il gruppo sociale più numeroso.

Il convegno ha cercato di ribaltare i presupposti dei rapporti di forza tra ricchi e poveri del mondo, tra i fornitori di materie prime (e ambiente) a basso costo e chi quelle risorse le sfrutta. Visto da questo punto di vista non è più il nord del mondo ad essere il creditore che pretende di riscuotere un debito che strozza le economie del sud, ma sono i Paesi in via di sviluppo che devono reclamare i risarcimenti di uno sfruttamento secolare che spesso si è trasformato in rapina. Così l’economia internazionale diventa un processo di usura globale che si ripaga con interessi che si trasformano nella dissipazione di risorse naturali, condizioni di lavoro disumane, conculcamento dei diritti civili e della sovranità di intere nazioni.

Governi come quello di Correa, o di Chavez in Venezuela e Morales in Bolivia, che ai nostri occhi occidentali possono sembrare strani e “datati” esperimenti di socialismo andino e caraibico, sono invece per uno sterminato popolo di poveri e per le popolazioni indigene la speranza di un futuro migliore, della messa in comune delle entrate di risorse petrolifere e minerarie di cui in quei paesi rimanevano solo poche briciole per le elite bianche o criolle, del riconoscimento di usi ed agricolture ed economie tradizionali messe in pericolo in diversa maniera da una globalizzazione tutta piegata sui bisogni, i desideri e le paure dell’occidente, come nel campo farmaceutico o della lotta al traffico di cocaina.

L´Ecuador, dopo uno spossante periodo di rivolgimenti politici e l’irruzione sulla scena nazionale del movimento indigeno che ha travolto governi e presidenti con proteste di piazza, è diventato la bandiera di questo nuovo movimento dichiarandosi creditore ecologico di fronte alla comunità internazionale. Correa chiede il risarcimento ecologico e la cancellazione di un debito che ritiene illegittimo, fatto non solo di rapina delle materie prime ma anche dello sfruttamento locale e delle persone costrette ad emigrare.

Per Accion Ecologica starebbe addirittura per nascere un nuovo “ecosocialismo” alternativo anche a esperienze più moderate della sinistra latinoamericana, che rinuncia allo sfruttamento delle risorse petrolifere ed alla costruzione di infrastrutture che devastano l’ambiente in cambio di lauti indennizzi e di uno sviluppo davvero sostenibile socialmente ed ecologicamente.

Ma non è tutto sol dell’avvenire quel che luccica, visto che lo stesso Equador si trova ad affrontare un’economia impoverita dalla dollarizzazione alla quale è stata costretto da un infinito disastro economico e monetario, con il grande problema dell’assalto del turismo (e dei poveri che arrivano clandestinamente) alle isole Galapagos, simbolo mondiale della biodiversità, con la richiesta di sfruttamento di giacimenti minerari e petroliferi e dell’utilizzo dei grandi fiumi della selva amazzonica per produrre energia idroelettrica, ma anche con l’acquacoltura industriale dei gamberi, destinati ai mercati occidentali, che ha distrutto gran parte dei mangrovieti costieri e inquinato le coste. Intanto però è stata messa in piedi una “Commissione di auditoria sul debito” che verificherà quali dei debiti contratti nel trentennio 1973 al 2003, in cui il Paese è stato sottoposto ad un vero e proprio saccheggio con la complicità dei governi locali, verranno riconosciuti, una sfida del piccolo David “ecosocialista” al golia del Club di Parigi che raccoglie i grandi crediti internazionali.

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