[31/08/2007] Rifiuti

Cina, 278 città senza impianti di trattamento rifiuti

LIVORNO. Arriva purtroppo anche oggi una pessima notizia dalla Cina. Secondo Zhao Baojiang, presidente dell´ Associazione cinese per la pianificazione urbana (dichiarazione pubblicata dal quotidiano China Daily), più della metà degli 1,3 miliardi di cittadini del ‘gigante asiatico’ vivono in centri nei quali non esiste alcuna forma di trattamento dei rifiuti. Si parla, dicono le agenzie, di 278 centri urbani, dei quali otto con una popolazione superiore ai 500mila abitanti, che praticamente gettano i rifiuti tal quali nell’ambiente. Che cosa questo voglia dire in termini di inquinamento - basta considerare anche quello che avviene in Italia e fare una proporzione numerica - lo si può solo immaginare. Perché non avere impianti di trattamento è certamente un dramma quando si parla di rifiuti urbani, ma pensiamo a cosa questo significhi in relazione a quelli speciali e pericolosi che sono per di più tre volte tanti. In un paese che sta oltretutto basando praticamente la sua intera economia sullo sviluppo industriale.

La Cina – tra l’altro - è il secondo paese del mondo, dopo gli Usa, per emissione di gas inquinanti. Si stima inoltre che più di 300 milioni di cittadini non possono usufruire di acqua pulita, a causa degli scarichi industriali e dei fertilizzanti usati dagli agricoltori. Il governo sembra avere a cuore il problema dell´inquinamento semplicemente perché mette a rischio le Olimpiadi di Pechino, che si terranno nell´agosto del 2008. Ma i problemi sono ben più gravi. Sappiamo bene, anche se il governo cinese ha fatto di tutto per nasconderlo, che sono 750mila i morti ogni anni causati dall’inquinamento. Numeri impressionanti che si giustificano anche col fatto che non esiste una corretta gestione dei rifiuti. Come ammesso appunto oggi dal presidente dell’Associazione cinese per la pianificazione urbana.

La Cina sembra assomigliare sempre più ad un mostro che l’occidente ha contribuito non poco a costruire secondo il proprio insostenibile modello di sviluppo. E senza considerare che ‘giocando’ con un Paese così grande e senza regole ci fosse il rischio che tutto sfuggisse di mano. Come di fatto sta accadendo. Fermare una locomotiva in corsa come questa è un’impresa titanica, governarla/guidarla forse un po’ meno, ma non esiste altra alternativa che provarci. L’economia ecologica non è uno slogan (se lo fosse mai stato), bensì una necessità. La riconversione globale è l’unica strada che può contribuire a invertire questa insostenibile (ambientalmente e socialmente) deriva. E in questo contesto continuare a guardare alla Cina soltanto come un nuovo orizzonte di mercato quale che sia (vendita di auto, di griffe, ecc.) assomiglia molto a quel tale che segava il ramo dell’albero sul quale stava seduto.

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