[03/09/2007] Comunicati

A Vienna sconfitti gli oltranzisti, ma il cammino per il post Kyoto è ancora lungo

LIVORNO. La Conferenza di Vienna sul clima si è conclusa con una valutazione sui futuri impegni per il dopo 2012, quando cesserà il protocollo di Kyoto. Secondo il rapporto pubblicato dall’Onu sono necessari 150 miliardi di ero di investimenti, da oggi al 2030, solo per mantenere all’attuale livello le emissioni di gas serra. Un ammontare notevole, tra lo 0,3 e lo 0,5% del prodotto intermo lordo mondiale e tra l’1,1 e l’1,7% degli investimenti.

«La risposta al cambiamento climatico – ha detto il segretario esecutivo dell’Unfccc Yvo De Boer (Nella foto)- passerà in gran parte per l’economia» e gli investimenti privati dovranno svolgere un gran ruolo per la ricerca tecnologica, le energie rinnovabili, l’efficienza energetica degli edifici, i trasporti e l´industria.

Grandi cifre che però diventano irrisorie se paragonate alla potenziale crisi economica e finanziaria che potrebbe essere innescata dai cambiamenti climatici, che potrebbero costare fino a 6,8 trilioni di dollari secondo il rapporto Stern del 2006, nel quale l’ex economista della Banca mondiale preconizzava una recessione planetaria senza precedenti se le emissioni di gas serra continueranno a crescere al ritmo attuale. Una tesi allarmante ma confermata dai rapporti dell’Ipcc che hanno confermato che se i combustibili fossili continueranno a dominare la scena fino al 2030 ed oltre, le emissioni di CO2 potrebbero crescere del 110%.

Nonostante questo l’accordo è stato faticosamente raggiunto dopo aver sconfitto l’opposizione di Canada, Russia, Svizzera, Giappone e Nuova Zelanda ad un testo che servirà da base per discutere del dopo Kyoto e che prevede, entro il 2020, tagli tra il 25% e il 40%, delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990.

Cina ed India stavolta si sono schierate a fianco dell’Ue per chiedere impegni rigorosi, mentre i “ribelli” pensavano a tagli del 4%, un atteggiamento che gli ambientalisti hanno definito «voto sull´apocalisse» perché proveniente proprio da Paesi tra i più colpiti dallo scioglimento dei ghiacciai.

Secondo il rapporto presentato a Vienna, saranno quindi necessari nuovi finanziamenti «una parte importante degli investimenti supplementari potranno essere assicurati con i modi attuali», correttamente attuati. Nel maggio scorso anche l’Ipcc aveva sottolineato come «livelli significativi di riduzione delle emissioni di gas serra nel corso dei prossimi decenni esistono. Potrebbero essere sufficienti per arrestare la crescita delle emissioni globali o per ridurle al di sotto dei livelli attuali».

L’appello dell’Onu rischia di essere in parte inascoltato, già oggi l’ammontare degli investimenti nel Meccanismo di sviluppo pulito (Mdp) del protocollo di Kyoto che permette ai Paesi industrializzati d’investire in progetti nei Paesi in via di sviluppo sono lontani dal raggiungere gli obiettivi previsti. Nel 2006, il mercato globale delle transazioni Mdp è stato di 5,257 miliardi di dollari; 220 milioni di dollari sono stati investiti in misure di mitigazione in altri Paesi industrializzati; il mercato delle quote di CO”, forse lo strumento più efficace di Kyoto, è essenzialmente a carico dei Paesi europei che hanno investito 19 miliardi di euro per 1,1 miliardi di tonnellate di CO2, ma se da qui al 2030 il prezzo della CO2 resterà inferiore ai 20 dollari a tonnellata e così le riduzioni delle emissioni saranno tra il 15 ed il 30%, un livello insufficiente per stabilizzare il global warming. Se invece il prezzo aumentasse fino a 100 dollari, la riduzione raggiungerebbe tra il 30 e il 50 %. Una cosa a cui crede molto poco il governo Bush, infatti la delegazione americana a Vienna ha detto di «credere poco alla messa in opera di un mercato del carbonio» pur assicurando che gli Usa vogliono «accelerare il processo di negoziazione. Vogliono cooperare con le principali economie per pervenire ad un accordo entro il 2009».

Per Karine Gavand, a Vienna per Greenpeace, «E’ imperativo che altre nazioni entrino nel processo, come l’Australia o gli Stati Uniti, ma anche i nuovi Paesi industrializzati come il Messico, la Corea del Sud e l´Arabia Saudita. Quanto ai Paesi in via di sviluppo in fase di industrializzazione rapida, come la Cina il Brasile, la Malaysia o il Sudafrica, occorre sviluppare degli strumenti incentivanti per coinvolgerli nel Protocollo di Kyoto», anche perché Greenpeace è convinta che per “mantenere” l’aumento della temperatura a + 2 gradi a livello mondiale, occorra ridurre le emissioni di gas serra del 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Comunque per Greenpeace l’accordo raggiunto a Vienna «é un passo in avanti sono stati rimossi ostacoli sulla via che porta a Bali. Ma ora bisogna fare un altro sforzo e fare in modo che nel meeting decisivo vengano presi gli impegni più stringenti nella fascia di tagli che è stata decisa in questo incontro».

Le prossime tappe dei negoziati saranno l’assemblea generale dell’Onu il 24 settembre a New York, la riunione del 28 settembre a Washington alla quale Bush ha invitato i sei più grandi Paesi inquinatori del pianeta, e la conferenza dell’Onu sul clima che si terrà a Bali, in Indonesia, dal 3 al 14 dicembre.

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