[03/09/2007] Recensioni

La Recensione. Rapporti Istat flussi di materia 1980-2001 e 1980-2004

Il focus dello sviluppo sostenibile, come spiegano Mathis Wackernagel e William E. Rees in “L’impronta ecologica”, viene sempre più concentrato sull´intero "metabolismo" dei sistemi sociali rispetto a quelli naturali. Per intervenire efficacemente nel modificare gli attuali modelli di sviluppo e i conseguenti pattern di produzione e consumo, rendendoli più sostenibili, è quindi necessario comprendere a fondo la dimensione biofisica dei nostri sistemi socio-economici.

Oggetto di grande interesse è perciò il flusso di materia ed energia che preleviamo dai sistemi naturali, trasformiamo e utilizziamo e dal quale produciamo scarti e rifiuti (molti dei quali non "metabolizzabili" dai sistemi naturali). Se consideriamo a livello globale i flussi di materiali causati dalle società umane – sono sempre parole dei due autori - essi si presentano di dimensioni paragonabili o persino superiori a quelli che hanno luogo nei sistemi naturali. Conseguentemente i flussi provocati dalla specie umana comportano modificazioni importanti nella stessa composizione fisica della superficie terrestre, nella struttura e nelle funzioni degli ecosistemi, dei cicli biogeochimici e, persino, della composizione dell´atmosfera.

Dunque, per una riconversione ecologica dell’economia che abbia come criterio direttore la sostenibilità ambientale, i flussi di materia – benché in molti se ne dimentichino - sono altrettanto importanti di quelli di energia. Anche perché per la nota legge fisica di Lavoisier per cui nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma degradandosi, la materia che oggi viene estratta dalla terra non scompare e domani la ritroveremo sottoforma di stock e poi di rifiuti.

Per far sì che l’impatto dell’uomo sia sempre meno pesante sul pianeta, diventa evidente che l’unico modo sia quello di ridurre questi flussi (energia e materia). E per ottenere tale obiettivo serve prima di tutto contabilizzarli e avere indicatori che ci consentano di verificare gli scostamenti. L’Istat – per delibera del Cipe n.255 del 30 ottobre 2002 che ha approvato la Strategia di azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia – tiene questa contabilità.
Nel 2001 ha presentato la serie storica (1980-2001). Nel 2007, invece, i principali indicatori relativi ai flussi di materia per il periodo 1980-2004. Entrambi hanno il 1997 quale benchmark di riferimento per la serie storica.

La cosa che balza subito agli occhi guardando i trend, è che l’Italia registra un sostanziale stazionamento nell’utilizzo delle proprie materie prime con numeri che nel 2004 sono quasi uguali a quelli di 24 anni prima. Ma contestualmente aumentano invece in maniera significativa le importazioni di materie prime dall’estero e di prodotti. Lo si evince dal primo indicatore, ovvero l’Input materiale diretto (IMD) che registra la materia che nel periodo contabile è entrata nel sistema economico nazionale, con riferimento alle quantità effettivamente utilizzate nella produzione o nel consumo nazionali. Questo indicatore contabilizza i materiali prelevati dal suolo nazionale – biomasse, combustibili fossili e minerali non energetici – e i beni di ogni tipo importati dall´estero. Il suo ammontare complessivo nel 2004 è aumentato del 5,8% rispetto al 1980. Ma la dinamica dei flussi appare diversa – spiega appunto l’Istat - se si considerano distintamente la componente interna e le importazioni.

Le importazioni (anche di prodotti), infatti, mostrano un significativo aumento, a conferma dell’importanza delle risorse materiali provenienti dall’estero nella crescita economica dell’Italia, paese come noto scarsamente dotato di risorse naturali e con una economia basata sulle attività di trasformazione. In conseguenza di tale crescita, la composizione dell’Input materiale diretto italiano è gradualmente mutata in favore delle importazioni, che sono passate nel periodo in esame dal 25,4% dell’Imd nel 1980 al 37,7% nel 2004, toccando il valore massimo nel 2003 (38,6%).

Nel perseguimento di uno sviluppo ecologicamente sostenibile poi, un obiettivo importante è il cosiddetto disaccoppiamento (de-coupling), ovvero la separazione tra crescita economica e pressioni ambientali, sia in termini relativi (crescita degli aggregati economici di riferimento superiore a quella degli indicatori di pressione), sia in termini assoluti (riduzione dei valori degli indicatori di pressione e degrado pur in presenza di crescita economica).
E questo è il secondo campanello d’allarme che suona per l’Italia. Raffrontando infatti i due rapporti (1980-2001 e 1980-2004), l’Istat arriva alla medesima osservazione: nella doppia analisi e indipendentemente dal rapporto anno per anno tra Pil e Imd, il punto è che non si è verificata una riduzione di quest’ultimo in termini assoluti, “condizione per un ‘de-coupling’ assoluto e presupposto più stringente per la sostenibilità dello sviluppo”.

Altro indicatore che spiega bene la dinamica dei flussi di materie è la Bilancia commerciale fisica (BCF), ovvero la differenza tra il peso totale dei beni importati e il peso totale dei beni esportati. La bilancia in pratica mostra una prima approssimativa indicazione del ruolo giocato dal paese nella divisione internazionale dell´estrazione delle risorse e del loro uso e delle relative pressioni
sull´ambiente naturale. E il risultato è negativo: l’economia italiana si avvale infatti di attività di estrazione e produzione svolte in paesi esportatori di materia, sui quali gravano le pressioni ambientali connesse a tali attività; per contro, gli output verso l´ambiente naturale dovuti ai consumi intermedi e finali e/o l´accumulo di capitale fisico sul territorio italiano risultano maggiori rispetto a quanto permesso dalle sole risorse interne. La BCF è infatti cresciuta nel periodo in esame (1980-2004) del 35%, riflettendo la storica dipendenza italiana dalle importazioni e dalla domanda estera di prodotti trasformati. L’andamento di breve periodo è strettamente legato a quello delle importazioni; in particolare la BCF ha registrato un incremento del 10,7% tra il 2000 e il 2004, a fronte di una crescita delle esportazioni e delle importazioni pari rispettivamente al 7,5% e al 9,5%. Da segnalare inoltre che i dati sul Consumo interno di materiali evidenzia che la maggior parte delle sollecitazioni sull’ambiente naturale legate all’utilizzo delle risorse materiali (sia interne ce esterne) necessarie per la produzione nazionale, sono dovute in misura crescente alla soddisfazione della domanda estera.

Tutti gli altri indicatori confermano questo scenario e un trend che porta l’Istat ad una conclusione che è una sostanziale bocciatura dell’Italia sul piano della sostenibilità ambientale. La bilancia commerciale fisica comprensiva dei flussi indiretti non lascia praticamente spazio a interpretazioni: dal 190 al 2004 l’indicatore è cresciuto del 33% evidenziando un divario crescente in termini materiali fra le risorse naturali richieste direttamente ed indirettamente dall’Italia al resto del mondo e quelle necessarie al paese produrre i beni che esso esporta. La serie storica mostra l’Italia in una posizione a livello internazionale quale paese importatore netto, ma anche utilizzatore di flussi materiali indiretto che sono imputabili agli scambi commerciali che intrattiene. E l’andamento crescente dell’indicatore rappresenta un “deficit ecologico” complessivo dell’economia italiana.

“Lo sganciamento dell’economia italiana dal bisogno di input materiale – sentenzia l’istituto statistico – è solo relativo: gli italiani hanno consumato e investito di più (in valore) utilizzando direttamente meno materia e attivando la movimentazione all’estero di quantità crescenti di materiali. Tale crescita della domanda di risorse esercitata sull’ambiente globale, anche se meno che proporzionale rispetto alla crescita del valore monetario di quanto consumato e investito, indica che il sistema economico non sta evolvendo in una direzione favorevole alla sostenibilità ecologica, in quanto non è in atto un processo di dematerializzazione in termini assoluti”.

Questa dematrializzaione, infatti, se fosse reale come qualcuno va dicendo, si dovrebbe vedere dai numeri: riduzione dei flussi di materia sia interni sia importati. Se decresce uno soltanto dei due indicatori e cresce, come nel caso italiano, l’altro, la sostenibilità ambientale resta un miraggio. Va da sé che a crescita di utilizzo di materie interne o esterne, sempre per la legge sulla conservazione della materia, c’è un conseguente aumentano anche di rifiuti. In buona sostanza per uno sviluppo sostenibile è qui che si deve intervenire ed è qui che si devono misurare gli scostamenti. Utilizzare meno materia per produrre gli oggetti è utile, ma è efficace solo se non aumentano i consumi di quello stesso prodotto. Senza questa visione olistica difficilmente si riuscirà a riconvertire l’economia. Non si può – i numeri sono impietosi in questo – pretendere di aumentare i consumi e mantenerli sempre in crescita, e poi sperare – ad esempio - di ridurre i rifiuti, perché è fisicamente impossibile. Appare altresì evidente che tutte le forme di riciclo e di riutilizzo della materia, siano azioni efficaci di sostenibilità. Così l’allungamento della vita dei prodotti e il miglioramento (sempre in termini ambientali) del loro processo produttivo.

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