[04/09/2007] Urbanistica

Vesuvio: pensiamo (ma senza fretta) all’eruzione che verrà

ROMA. La copertina e il lungo reportage che il National Geographic, nella sua edizione italiana, hanno dedicato al Vesuvio e alla possibile eruzione pliniana del vulcano che affaccia sul golfo di Napoli ha avuto nei giorni scorsi un’ampia risonanza mediatica. I giornali ne hanno dato un’interpretazione allarmistica. Cosicché gli scienziati (e la Protezione Civile) hanno avuto facile gioco nel ricordare che il vulcano è da oltre sessant’anni in fase di assoluta quiete (l’ultima eruzione risale al 1944), che non mostra alcun segno di volersi risvegliare e che l’evento catastrofico evocato dall’articolo di Stephen S. Hall su L’eruzione che verrà pubblicato nel numero di settembre dalla nota rivista di divulgazione geografica ha una probabilità molto piccola, non superiore all’1%, di potersi verificare nei prossimi 150 anni. Inoltre, fanno notare i tecnici, le eruzioni vulcaniche non sono come i terremoti: sono preannunciate da segni inequivocabili già settimane se non mesi prima. E il Vesuvio è monitorato 24 ore su 24 da oltre 120 tra tecnici e scienziati. Insomma, non c’è ragione di allarme. Non immediato, almeno.

Il tema è, dunque, da archiviare? Non del tutto. Una volta sfrondato da ogni inutile allarmismo, il rischio Vesuvio resta, in tutta la sua portata e in tutta la sua complessità. Il vulcano, infatti, non si è addormentato per sempre. È ancora attivo. Ed è localizzato in un’area abitata da alcuni milioni di persone. In questo momento è, insieme, il vulcano più studiato e il più pericoloso del mondo.

In realtà il Vesuvio negli ultimi 25.000 anni ha alternato fasi di quiete assoluta, come l’attuale, con fasi attive di diversa intensità. Gli esperti classificano queste fasi in tre diverse tipologie. Un’attività moderata, con eruzioni tutto sommato contenute, come quella del 1944, che mettono a rischio aree limitate alle immediate pendici del vulcano. Un’attività più intensa, o subpliniana, con eruzioni capaci di liberare molta materia ed energia, che pone a rischio aree che si estendono in 18 diversi comuni abitate da circa 900.000 persone (la cosiddetta area rossa).

E, infine, c’è un’attività catastrofica, come quella che nel 79 dopo Cristo ha distrutto Pompei e ha tolto la vita a Plinio (da cui il nome di eruzione pliniana). È a quest’ultimo tipo di evento che fanno riferimento la copertina e l’articolo del National Geographic. Nel corso degli ultimi 25.000 anni ci sono stati 6 eventi pliniani. Uno dei quali, 3780 anni fa, ha sommerso di cenere e lapilli una zona molto vasta – che va da Napoli ad Avellino. Di qui l’allarme di Stephen S. Hall: la prossima eruzione pliniana metterebbe a rischio un’area che abbraccia la stessa città di Napoli e coinvolgerebbe oltre tre milioni di persone.

Il fatto è questo. I tecnici sostengono che c’è il 60% di probabilità che in uno qualsiasi dei prossimi 150 anni il Vesuvio si risvegli con un evento di intensità moderata e che c’è il 30% di probabilità che si risvegli con un evento subpliniano. Ma per questi casi abbiamo un piano che prevede l’evacuazione ordinata dell’intera «area rossa». Cosicché quello associato a questi eventi è un rischio controllato.

Resta il problema dell’eruzione pliniana. La probabilità che si verifichi nei prossimi anni, abbiamo detto, è molto bassa. Quasi non nulla. Ma non nulla. Un evento simile ci coglierebbe impreparati. Con tutto ciò che ne consegue.

Un’eruzione come quella raccontata da Plinio si verificherà, prima o poi (nei prossimi decenni, secoli o millenni). Il che ci pone di fronte a una serie di dilemmi. Dobbiamo gestire e come un rischio piccolo, ma potenzialmente catastrofico, diluito in un periodo di decenni, secoli o persino millenni? Dobbiamo iniziare a decongestionare un’intera area metropolitana? Come organizzare eventualmente l’evacuazione ordinata di 3 milioni e più di persone?

Certo, non c’è alcuna fretta. Ma sarebbe il caso, con calma e pacatezza, di iniziare a pensarci.

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