[17/09/2007] Rifiuti

Gestione rifiuti portuali, l´Ue bacchetta l´Italia

LIVORNO. La Commissione europea accusa il governo italiano per l’omessa elaborazione e adozione dei piani di raccolta e di gestione dei rifiuti portuali. Con il ricorso del 2 agosto 2007 alla Corte di giustizia europea, la Commissione denuncia la mancata attuazione della direttiva europea 2000/59 (recepita in Italia con il Dlgs 182/2003) relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico.
Un segmento importante dell’azione comunitaria nel settore dei trasporti marittimi riguarda la riduzione dell’inquinamento dei mari. Questo obiettivo può essere raggiunto – a detta della Comunità - attraverso il rispetto delle convenzioni, dei codici e delle risoluzioni internazionali, mantenendo al contempo la libertà di navigazione (prevista dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) e di fornitura dei servizi (prevista dal diritto comunitario).
Una protezione dell’ambiente marino che è possibile conseguire attraverso la riduzione degli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi e dei residui del carico. E tale protezione può essere anche raggiunta migliorando la disponibilità e l’utilizzo di impianti di raccolta e attraverso il regime coercitivo: ovvero adeguati impianti portuali di raccolta dovrebbero essere in grado di soddisfare le esigenze degli utenti, dalle navi mercantili di maggiori dimensioni alle più piccole imbarcazioni da diporto.
Ma trattandosi di una direttiva, l’Unione europea lascia agli Stati membri la facoltà di stabilire gli strumenti di attuazione che meglio si adattano al proprio sistema interno.

L’azione intrapresa a livello comunitario è sicuramente lo strumento più efficiente per garantire norme ambientali comuni applicabili a tutte le navi (a prescindere dalla loro bandiera) e ai porti di tutta la comunità proprio perché l’inquinamento marino ha implicazioni transfrontaliere. L’attuazione richiede però un intervento ulteriore da parte dei singoli Stati. Tanto è vero che il legislatore comunitario lascia agli Stati membri un’ampia libertà quanto all’organizzazione migliore per la raccolta dei rifiuti. Inoltre consente agli Stati di prevedere impianti fissi di raccolta oppure di designare prestatori di servizi incaricati di fornire ai porti unità mobili per la raccolta dei rifiuti quando necessario. E ciò comporta anche l’obbligo di fornire tutti i servizi e/o di adottare le altre disposizioni necessarie per l’uso corretto e/o adeguato degli impianti in questione.
L’Italia quindi sarebbe colpevole di non aver messo in pratica quanto recepito con il decreto 182/2003 che stabilisce precisi obblighi per comandanti di navi, autorità portuali e gestori dell’impianti di raccolta dei rifiuti, al fine di ridurre gli scarichi in mare dei rifiuti prodotti dalle navi. Le regole evidentemente non rispettate riguarderebbero tutti i natanti (tranne le navi militari, quelle possedute e gestite dallo Stato ai fini non commerciali, quelle esercenti servizi di linea) che operano nei porti dello Stato italiano, indipendentemente dalla bandiera di appartenenza.
In teoria il piano di raccolta e di gestione dei rifiuti dovrebbe essere elaborati dalle Autorità portuali per poi essere comunicati alla Regione competente che provvede a valutarlo, approvarlo e a controllarne lo stato d’attuazione.
In pratica i piani dovevano essere elaborati entro un anno dall’entrata in vigore della normativa ossia entro il 7 agosto 2004, ma così non è stato in gran parte dei porti italiani.

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