[25/09/2007] Parchi

Se l´Unione europea tutela Sic e Zps ma non i parchi

PISA. L’ultima censura comunitaria all’Italia riguarda gli impianti sciistici del Parco Nazionale dello Stelvio previsti in una ZPS ossia un sito comunitario. Non è il primo caso e probabilmente non sarà l’ultimo. I commenti generalmente mettono l’accento sulle nostre inadempienze che non risparmiano appunto neppure le aree protette. Non si è finora rilevato però -almeno per quanto ne so- che se non vi fosse stato un sito comunitario lo stesso intervento all’interno di un parco nazionale non ci avrebbe esposto alle stesse censure comunitarie.
Viene da dire che nel parco (forse) si sarebbe potuto fare quello che il sito ci vieta. Difficile negare che vi è una contraddizione che pone qualche problema riguardo non solo ai nostri comportamenti ma anche alla politica comunitaria in campo ambientale e specificamente nell’ambito delle aree protette.

E’ una questione che Federparchi ha posto da tempo -con scarsa fortuna- se anche il ripetersi di episodi tipo Stelvio sembrano esaurirsi nel pur doveroso richiamo ad osservare e rispettare con maggiore coerenza le direttive comunitarie sicuramente positive, ma non per questo esenti da limiti.

E la questione appunto non nuovissima ma di fatto ignorata -o quanto meno poco considerata- è che le disposizioni comunitarie, a partire proprio dalle sue direttive più significative; Habitat etc circoscrivono il loro ambito di intervento ai siti SIC e ZPS. Proprio in questi giorni il ministero dell’Ambiente ha avuto il parere positivo dalla Conferenza Stato-Regioni (salvo quello negativo di alcune regioni) sul decreto che individua i criteri minimi di conservazione sulle aree naturali protette ai sensi delle direttive comunitarie Habitat e Uccelli.

Il provvedimento riguarda 500 zone di protezione speciale e quasi 3000 siti di importanza comunitaria (Sic) e aspetti che vanno dalla agricoltura, infrastrutture, impianti, attività venatorie, cave e discariche.
I parchi sono coinvolti nei casi in cui al loro interno siano presenti siti comunitari che per metà sono dislocati nei parchi nazionali e regionali. Se dunque i nostri parchi -al pari di quelli di altri paesi europei- sono ‘raccordati’ all’Unione solo e in quanto al loro interno si trovano dei siti, l’Unione europea entra in rapporto con le sue politiche. Non ci vuol molto a capire che si tratta di un legame ‘debole’ perché ‘disperso’ tra oltre 3500 punti nella maggior parte dei casi di piccola e piccolissima dimensione, che difficilmente consente ai parchi e alla comunità di riportare ad una scala meno micro e puntuale, oggi assolutamente inidonea a fronteggiare la varietà e l’intreccio dei problemi e dei rischi, che necessitano ormai sempre più di approcci ‘integrati’ ed anche transfrontalieri ai quali i siti offrono sponde chiaramente inadeguate.

Certo, gli accordi, sia pure non unanimi raggiunti alla Conferenza Stato-Regioni, disinnescano conflitti, riducono i rischi di altre infrazioni che hanno come inevitabile sbocco quelle ricorrenti censure che ci inguaiano da anni. E tuttavia rimane aperta una questione più di fondo, resa peraltro più ardua dal clima -diciamo così- sul ruolo dell’Europa in questo momento. I ripetuti appelli accompagnati sempre da una lucida critica del capo dello stato alle troppe manfrine in corso perché prevalga anziché uno spirito ‘federalista’ un ritorno a politiche intergovernative sempre meno agganciate a serie politiche (consensualmente) sovraordinate, confermano una situazione pesante in cui lo scetticismo sembra prevalere su una chiara e coerente ricerca di un rilancio europeistico.
Ma questo dovrebbe semmai incoraggiare ad agire chi crede in una Europa allargata la sola oggi in grado di affrontare anche i rischi drammatici che incombono sull’ambiente.

Torna all'archivio