[04/10/2007] Consumo

La banca d´affari Morgan Stanley fa i conti col global warming

LIVORNO. «Il cambiamento climatico avrà serie ripercussioni sulle economie e i mercati finanziari mondiali causando degli shock alle prospettive di crescita a lungo termine paragonabili alla caduta del comunismo, alla globalizzazione, alla nascita di Internet e all´esplosione demografica». Non lo dice un’associazione ambientalista, ma è quanto si legge in un rapporto della banca d´affari americana Morgan Stanley, secondo cui anche se il cambiamento climatico avverrà in maniera graduale, i mercati finanziari devono quantificare ora il rischio rivedendo le previsioni su crescita, inflazione e protezione dai danni.

Per la banca americana un calo della produzione industriale potrebbe inoltre portare a una pressione inflazionistica con un aumento dei prezzi del cibo, dell´acqua e dei combustibili causando, in caso di una mancanza di azioni decisive, una possibile stagflazione (stagnazione più inflazione).

Finita la parte allarmistica gli analisti di Morgan Stanley corrono a strizzare l’occhio a Bush, spiegando quali potrebbero essere le soluzioni: «il contenimento dei cambiamenti climatici può essere pesantemente influenzato dagli sviluppi della tecnologia, in parte guidati dalle politiche governative». Esattamente quello che il presidente americano predica da quando ha dovuto arrendersi all’evidenza del global warming, aggirando comunque il Protocollo di Kyoto e rifugiandosi poi in soluzioni volontarie da parte dei singoli Stati basate sul miglioramento delle tecnologie disponibili.

Secondo il rapporto di Morgan Stanley i paesi in via di sviluppo, con alcune eccezioni virtuose come il Brasile, saranno i più colpiti in termini economici dalle conseguenze dei cambiamenti climatici mentre i paesi più ricchi ma poveri di risorse, fra cui l´Italia, appaiono i meno toccati e anzi dotati di una maggiore capacità di adattamento e di riduzione delle emissioni di gas serra. Nota forse troppo ottimistica, ma che in ogni caso stride con quanto dichiarato nel corso della conferenza nazionale sul clima dal ministro Pecoraro Scanio, ma soprattutto rispetto a quanto affermano i più recenti studi dell’Ipcc, che individuano alcuni paesi mediterranei tra cui l’Italia tra quelli più a rischio soprattutto a causa degli effetti della progressiva desertificazione.

Per individuare i paesi più esposti gli analisti di Morgan Stanley avrebbero comunque sommato la vulnerabilità di ogni nazione o gruppo di nazioni ai cambiamenti climatici con la quantità di gas serra emessi incrociandola con la capacità di adattarsi, sviluppando nuove tecnologie o modificando i propri comportamenti e riducendo le emissioni.

Il risultato porta quindi nella fascia più bassa i paesi in via di sviluppo più ricchi di risorse come Arabia Saudita, Russia, Ucraina, Cina e Iran mentre alcuni paesi Ocse produttori come Stati Uniti, Australia e Corea del Sud hanno dalla loro parte una maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti.

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