[05/10/2007] Comunicati

Antropocentricamente Rice: le condoglianze Usa alla sostenibilità

LIVORNO. L’intervento del segretario di stato Usa, Condoleezza Rice, al vertice di Washington tra le principali potenze economiche sulla sicurezza energetica, è davvero una lezione di antropocentrismo in stile americano. Ovvero di una visione del mondo in cui al centro di tutto ci sta l’uomo (o per meglio dire l’uomo americano) e tutto il resto deve necessariamente ruotargli attorno. Per soddisfare le sue esigenze e permettergli quindi di non ledere minimamente quel suo american style of life, oltre a dargli la possibilità di esprimere al meglio tutta la sua superiorità tecnologica vera o presunta che sia.

Per farlo, la Rice usa anche un parallelismo tra Teddy Roosvelt, che definisce “uno dei nostri più grandi paladini della natura” e Bush, entrambi a suo dire portatori di questo filo di pensiero per cui salvaguardare l’ambiente è un valore pubblico (e su questo non vi è alcun dubbio) salvo però tenere fortemente salda la barra del progresso e dello sviluppo inteso nella maniera classica, unica strada possibile per salvare capra e cavoli. Non è un caso che la Rice a proposito della questione dei cambiamenti climatici e dell’impegno necessario per invertire la crescita delle emissioni globali, concordato nella Convenzione quadro delle nazioni Unite, aggiunge : «questo dovrà essere realizzato in un arco di tempo che consenta all’ambiente di adattarsi, e in modo di garantire che lo sviluppo economico globale possa proseguire».

Ma forse è sfuggito alla Rice che le dinamiche che portano agli sconvolgimenti climatici (prossimi e in corso) seguono ormai un trend che non è più lineare e che è assai probabile che i tempi per fare quello che lei auspica (anche ammesso che quella possa essere la strada giusta) rischiano di non esserci più.
E che anche le tecnologie che vengono viste come taumaturgiche per salvare il pianeta da una parte e permettere ugualmente allo sviluppo economico di non cambiare marcia, potrebbero arrivare troppo tardi. Quando cioè “quei milioni di persone oggi ai margini di un’economia globale” che il sottosegretario di Stato americano vorrebbe far unire “ ad un circolo di prosperità sempre vasto” potrebbero invece moltiplicarsi e condividere con “ i cittadini delle nazioni sviluppate” anziché benessere una profonda crisi sociale, oltre che ambientale, ormai globalizzata.

Sarebbe poi da far presente alla Rice, che ha così a cuore la sorte di milioni di persone che vorrebbe «sottrarre alla povertà facendole beneficiare delle promesse dell’economia globale» che intanto potrebbe suggerire a Bush di ritirare il veto alla legge che proponeva di estendere la copertura sanitaria a 4 milioni di bambini americani che non possono permettersi un’assicurazione medica privata. Un programma che avrebbe avuto il costo annuo (tra l’altro coperto attraverso un aumento delle tasse sulle sigarette) pari a quanto l’amministrazione Bush spende in un mese per la guerra in Iraq, cioè sette miliardi di dollari.

E la relazione con il mondo naturale cui allude la Rice, fatto «di auto pulite che viaggiano a etanolo e a idrogeno» e «di gente ben pagata che va a lavorare in grattacieli verdi» (per quanto possa essere o meno condivisibile uno scenario di questo tipo) è comunque assai difficile che si realizzi, partendo semplicemente dai dati di realtà. Perché se la popolazione mondiale che vive oggi in stato di povertà o ai margini dell’economia globalizzata, arrivasse ai livelli di sviluppo del mondo occidentale con le stesse modalità e con lo stesso approccio utilizzato da queste economie, ciò che vedremmo ampliata non sarebbe certo quella “prosperità che dovremmo, di regola trasmettere amplificata e sviluppata” ai nostri figli, come recita il monito di Roosvelt cui la Rice si riferisce, ma una più forte crisi globale.

I dati che arrivano dalla Cina e dall’India dovrebbero servire piuttosto efficacemente a farlo comprendere anche a chi ha ancora qualche dubbio.
Ma è proprio qui che emerge per intero quell’atteggiamento tipico, fortemente egemonico, che ha caratterizzato da sempre l’amministrazione Bush. Ovvero di chi pensa di avere la ricetta in tasca per risolvere a proprio modo e secondo il suo punto di vista (e solo quello) qualsiasi tipo di problema. Un approccio che si intreccia con un altro tipo di atteggiamento, che trova del resto molti adepti in giro per le democrazie occidentali, che è quello della convinzione che con la tecnologia e con la crescita economica, si possa risolvere qualsiasi problema.

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