[05/10/2007] Comunicati

L’impronta di Cuba è più leggera

LIVORNO. Il settimanale britannico New Scientist (e da noi l’Ansa) ha ripreso una ricerca del Global Footprint Network che conferma e affina dati già noti sulla “impronta ecologica” dell’umanità sul pianeta e mette a confronto i classici numeri sulle condizioni di vita (Pil procapite, aspettativa di vita, istruzione, sanità, ecc.) di 93 Paesi, per misurare l’impatto ambientale di ognuno di loro.

Se viene confermato che stiamo usando le risorse in 1,2 pianeti e che avremo bisogno di due pianeti entro il 2050 (ma se lo stile di vita globale diventasse quello dei consumi americani avremmo bisogno di ben 5 pianeti), il dato che più incuriosisce è che l’unico Paese che sta vivendo in maniera davvero sostenibile è Cuba.

Quasi uno scandalo per un Paese sottoposto da decenni all’embargo americano e sotto un regime non certo liberale. Ma la realtà non è sempre in bianco e nero e Cuba, costretta ad avere poche macchine, poco carburante, poche materie prime, è costretta anche ad usare tutto questo sostenibilmente. Lo ha fatto costruendo una società con mille difetti, ma che se paragonata a quella di alcuni vicini come Haiti e addirittura al complesso dei Paesi caraibici e latinoamericani, può vantare conquiste impensabili come: istruzione per tutti, un buon settore sanitario gratuito, la massima aspettativa di vita dell’area, una ripartizione delle risorse economiche che non produce le punte di indicibile miseria e fame o di vergognosa ed esibita ricchezza.

La bistrattata Cuba del vecchio Fidel Castro ha fatto di necessità virtù, e forse per diminuire la nostra impronta ecologica occorrerebbe fare delle virtù una necessità. Per Mathis Wackernagel, direttore del Global Footprint Network, un cittadino medio pesa sul pianeta per 2,2 ettari di terreni produttivi,pascoli, paludi, foreste e zone di pesca costiera, ma il pianeta terra ha solo 1,8 ettari da mettere a disposizione per ognuno degli esseri umani che la affollano.

«Stiamo tagliando più alberi di quanti ne piantiamo – ha detto Wackernagel a New Scientist – preleviamo le sostanze nutrienti dai terreni di quanto possano essere rimpiazzate, esaurendo gli stock di pesci più velocemente di quanto possono essere ricostituiti; emettiamo anidride carbonica nell´aria più velocemente di quanto la natura possa riassorbirla. Oltrepassare questo confine liquiderà gli assetti ecologici del pianeta».

La global footprint dell´Europa è attualmente circa due volte di più di quanto sarebbe sostenibile dal continente: 4,7 ettari a persona, ma secondo Gorn Dige, un analista di “impronte ecologiche dell’Agenzia europea per l’ambiente, la cosa è destinata a peggiorare: «Il peso dell´Europa sulle risorse del mondo sta aumentando proprio mentre la nostra quota di popolazione del mondo sta calando». C’è solo da consolarsi con il fatto che australiani e canadesi hanno bisogno di 7 e 8 ettari ciascuno e gli Statunitensi di 9,7 ettari, mentre un cinese ha bisogno di circa 2 ettari e un indiano di soli 0,7 ettari.

Dati che hanno una spiegazione: la metà del peso della “impronta ecologica” è dovuta alle emissioni di CO2 e potrebbe essere ridotta solo piantando alberi, ma non lo stiamo facendo, o meglio non lo stiamo facendo per quanto ce ne sarebbe bisogno anche per combattere la contemporanea deforestazione.

Il calcolo del global footprint si basa sulla quantità di terreno fertile necessario a produrre una tonnellata di grano o di un altro prodotto agricolo, e i critici dicono che non prende in considerazione l’efficienza ecologica dei diversi Paesi, così come non tiene conto se il frumento è coltivato in terre che riescono a produrre 2 tonnellate per ´ettaro o 20. Ma è indubbio che l’analisi avviata con l’impronta ecologica stimola a diventare più ecoefficienti.

Torna all'archivio