[09/10/2007] Comunicati

L´ultima chance

ROMA. La cittadinanza scientifica – ovvero la possibilità di partecipare della e alla società della conoscenza – è ormai diventata parte decisiva della “questione democratica”. La scienza irrompe ormai tutti i giorni nella nostra vita, a ogni livello: individuale e collettivo; economico, culturale e anche ambientale.
La possibilità di accedere alle nuove conoscenze prodotte dalla scienza e di utilizzarle per costruire il nostro futuro professionale o per partecipare alle scelte in materia di politica economica, di bioetica, di sviluppo sostenibile è uno dei diritti fondanti della moderna democrazia.

La comunicazione pubblica della scienza è diventata un bisogno sociale diffuso. Dalla sua qualità dipendono, in parte non banale, sia la qualità sociale ed ecologica dello sviluppo sia la democrazia sostanziale di un paese.
Già, ma allora che razza di cittadinanza scientifica abbiamo qui in Italia se – come ricordava ieri una ricerca Ipsos Mondadori – circa due terzi della popolazione del bel Paese non legge neppure un libro in un anno intero e ha difficoltà a comprendere appieno il significato di un articolo di giornale?

E che futuro potrà mai avere il paese nell’era della conoscenza se, alla parte restante della popolazione, i mass media offrono un tipo di comunicazione fondata sempre più sull’emozione sensazionalistica e sempre meno sulla razionalità analitica?

Diciamolo subito. Queste domande colgono un aspetto cruciale del “declino italiano” – un declino che si misura in termini quantitativi: da circa vent’anni, per esempio, sia la nostra ricchezza procapite, sia il tasso di equità sociale, sia la qualità del nostro ambiente peggiorano costantemente rispetto al resto d’Europa.
Sono domande cruciali che non ammettono risposte semplici.

Il rapporto tra scienza e società, infatti, è mutato definitivamente anche in Italia. Gruppi sociali di non esperti compartecipano sempre più ad assumere decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza. E, allo stesso modo, le nuove conoscenze scientifiche informano sempre più anche la vita degli italiani, così come la vita degli abitanti dell’intero pianeta.

Questa interpenetrazione tra scienza e società è ormai inestricabile. Non è possibile neppure immaginare un ritorno al passato, alla ricostruzione di “torri d’avorio”, con gli scienziati che assumono in condizioni di indipendenza pressocché totale le decisioni rilevanti per lo sviluppo della scienza e la società che attende passiva che quelle scelte ricadano su di lei.

Lo vogliamo o no, oggi la condizione è diversa. Cosicché l’unica opzione perseguibile è quella di migliorare la qualità della comunicazione pubblica della scienza per migliorare la qualità della nostra democrazia, economica e politica.

Come? Non esistono né ricette né modelli generali né scorciatoie. Si tratta di migliorare, per prova ed errore, la qualità dell’intero sistema di comunicazione che innerva la società. Da quella formale (a scuola, per esempio) a quella informale (nei media, per esempio). Da quella esplicita (in un articolo di giornale, per esempio), a quella implicita (in una fiction televisiva, per esempio).

È un’impresa titanica. Ma non irrealizzabile. A patto che tutti – politici, imprenditori, sindacati, movimenti ambientalisti, intellettuali – si rendano conto che è una questione della massima urgenza. L’ultima chance, forse, per arrestare il declino del paese e impedire che si trasformi in decadenza.

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