[15/10/2007] Monitor di Enrico Falqui

La sindrome irlandese

FIRENZE. Una settimana fa, sulle pagine del Corriere della Sera, si è realizzato un surreale confronto tra Carlo Ripa di Meana, ex portavoce nazionale dei verdi, e uno dei padri storici dell’ambientalismo italiano, Fulco Pratesi.
Il confronto riguardava ancora una vecchia querelle, sorta nel 1984, anno di nascita del movimento dei Verdi italiani, a proposito del loro programma politico con cui si presentarono all’elettorato italiano.

«I Verdi italiani sono di destra o di sinistra?». Il dilemma, allora, tenne col fiato sospeso l’opinione pubblica di sinistra e, Mario Capanna, esponente della sinistra che oggi definiremmo “radicale”, la contestò vivacemente.
Oggi, il dilemma appare insignificante, poiché molti giudicano i Verdi un partito in via di estinzione o in via di essere assorbiti dalla “Cosa di Sinistra”( ammesso e non concesso che essa veda mai la luce); tuttavia quel dilemma mantiene ancora una propria attualità, poiché, nel frattempo, altri soggetti sociali e politici hanno assunto la “centralità ambientale” come bandiera assai spesso strumentale per la loro identità di movimenti civici e antagonisti, il cui cuore e la cui pancia batte con passione per ciò che chiamiamo “ il partito dell’antipolitica “.

Gli argomenti usati nel 1984 da Capanna erano ben diversi da quelli utilizzati oggi nell’articolo da Fulco Pratesi, ma la conclusione è identica: “i Verdi hanno sempre avuto una collocazione di sinistra perché storicamente questa è la parte più vicina ai temi della solidarietà sociale e della tutela ambientale”.
Carlo Ripa di Meana, attuale presidente di Italia Nostra, sostiene invece, nell’intervista che precede l’articolo di risposta di Pratesi, che tale collocazione oggi non è più scontata e, dopo una lunga esemplificazione dei casi di malgoverno dell’ambiente e del paesaggio, le cui responsabilità sono da ascrivere ai governi di centro-sinistra della Toscana, dell’Emilia e Romagna e dell’Umbria, dichiara con “cool mind” che nel centro-destra si notano segnali interessanti che potrebbero confortare una diversa collocazione dei Verdi e delle associazioni ambientaliste”.

Carlo Ripa di Meana ha l’intelligenza di capire che il sistema politico italiano si trova ad un passaggio di fase di valore storico, poiché la transizione dalla prima alla seconda Repubblica ha bisogno, dopo quasi 15 anni, di concludersi e di dare sbocco alle impetuose energie di rinnovamento da parte delle nuove generazioni.
Proprio in questi ultimi giorni ed in queste ore due eventi di significato storico stanno marcando la linea di separazione tra passato e futuro: il voto di oltre 5 milioni di lavoratori al referendum sul welfare ed il voto di oltre 3 milioni di cittadini nelle primarie per eleggere il leader del nascente Partito Democratico.

Entrambi i voti rafforzano il governo di centro-sinistra nella necessità di velocizzare sia le riforme sociali che quelle economiche, ma soprattutto impongono la necessità di scegliere una riforma elettorale e costituzionale che permetta a qualsiasi governo di dare risposte e soluzioni adeguate alle trasformazioni di cui il Paese ha urgente bisogno per lo sviluppo moderno e civile della società.
Carlo Ripa di Meana avverte che la lunga transizione politica che ha tenuto fermo e ingessato il nostro Paese dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, volge ormai al termine e scommette sull’idea che una riforma della legge elettorale attuale, (la famosa “porcata” di Calderoli) trovi il necessario consenso tra le forze politiche di centro-sinistra e di centro-destra intorno al modello elettorale cosiddetto “ tedesco “.

Con una soglia di sbarramento intorno al 5%, il sistema dei partiti italiani sarebbe probabilmente drasticamente ridotto a non più di sette-otto , rappresentati in Parlamento e, se non venisse imposta la regola di dichiarare prima del voto la scelta della coalizione ed il programma con cui si intende governare il Paese, un Partito Verde di poco superiore al 5% dei consensi elettorali potrebbe far risorgere l’originario slogan dei Verdi italiani: “ Né di destra, né di sinistra”, ma solo insieme a chi è disposto a fare maggiori concessioni programmatiche sulle questioni ambientali , vera centralità di questo Partito. Probabile che accada ? Non ne sarei così convinto,vediamo di spiegarne il perché.

In primo luogo, oggi, la “ centralità “ dell’ambiente non è più sufficiente a qualificare l’identità di un soggetto politico e, in questi ultimi anni, i Verdi hanno subito cocenti sconfitte elettorali in quasi tutti i paesi europei proprio perché non sono stati capaci di comprendere che la risposta positiva alle sfrenate pulsioni dell’economia globalizzata non è la negazione del mercato a favore della decrescita, bensì la sua riconversione ad uno sviluppo sostenibile del territorio e delle città.

I conflitti sociali prodotti da una visione “pessimistica” dello sviluppo si sono trasformati in “jacqueries” effimere ed illusorie, incapaci di creare consenso e spesso contraddittorie tra di loro.
Facciamo un esempio, tra i tanti. Se siamo veramente convinti che la questione del clima abbia una valenza strategica globale e che i rischi connessi al riscaldamento terrestre siano effettivamente quelli descritti nel 4° rapporto dell’IPCC (2007), le conseguenze di una strategia politica coerente con tale questione comportano una capacità di costruire alleanze sociali e politiche molto estese, di saper influenzare tutti i livelli di governo che oggi esistono nelle varie scale di sussidiarietà istituzionale, dall’Europa al più piccolo Comune.

Un partito Verde non può rivendicare alcun “primato”, né tanto meno una propria identità su questa questione, come ha dimostrato la campagna mondiale messa in atto da Al Gore nei confronti dell’ONU, dei governi degli Stati nazionali, di imprese multinazionali e di Banche per lo sviluppo, di associazioni ambientaliste e non governative. Per questa lungimirante azione di sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale, Al Gore ha ottenuto il premio Nobel per la pace e, probabilmente, lo ha anche rilanciato per la prossima campagna presidenziale negli Stati Uniti.

Dunque, se riconosciamo che la questione del clima chiami in causa le strategie di sviluppo dei Paesi ricchi e di quelli poveri e la necessità di una ridistribuzione della ricchezza a scala globale (come suggeriva il rapporto Bruntland fin dal 1983), le politiche da sostenere non possono collocarsi nel campo della decrescita dello sviluppo, bensì in quello dello sviluppo sostenibile. Se vogliamo evitare politiche energetiche fondate sul nucleare e sul carbone, dobbiamo favorire ad ogni livello, europeo e locale, le energie rinnovabili (solare, eolico, idrico, biomasse) ed il risparmio energetico; dobbiamo favorire trasformazioni delle città e del territorio che riducono i consumi energetici, che introducono elementi di modernità e di uso efficiente delle risorse naturali.

Il centro-destra italiano fornisce risposte interessanti al riguardo?
Non mi pare, dato che, uno dei suoi intellettuali più prestigiosi, Renato Brunetta, sostiene nel suo recente libro “ Verdi fuori, Rossi dentro” che le conclusioni del rapporto dell’IPCC (2007) “..sono tutte bugie ideate per terrorizzare l’opinione pubblica” e che “…l’effetto serra antropogenico (ESA) non è una teoria scientifica…bensì propaganda politica fatta da esperti, molti neanche scienziati,scelti dai politici dell’ONU che dettano le regole.” Casini vuole il rilancio del nucleare in Italia, Fini vedrebbe di buon occhio altri condoni edilizi, Berlusconi vorrebbe realizzate grandi opere e Ponte sullo stretto di Messina.
Se questi sono i fatti che contano, i segnali “interessanti” di cui parla Carlo Ripa di Meana devono riguardare aspetti di una visione puramente ideologica o localistica della “conservazione” dell’ambiente e del paesaggio.

Ma vi è un secondo motivo che rende irrealizzabile il “sogno irlandese” di Ripa di Meana.
La nascita del Partito Democratico ed il necessario aspro confronto che si instaurerà con la probabile confederazione della Sinistra radicale, sposta il centro di gravità della competizione sullo sviluppo sostenibile del paese in quest’area, facendolo diventare uno dei campi privilegiati della credibilità di governo, per l’uno e l’altro soggetto politico.

Ciò che sarebbe necessario oggi, per raggiungere la massa critica necessaria a realizzare politiche di sviluppo sostenibile a tutti i livelli istituzionali di governo, dovrebbe essere, invece, proprio l’unione e la coesione di progetti dei due riformismi presenti nel PD e nella Sinistra Radicale.

Quindi, ha torto anche Fulco Pratesi quando afferma nel suo articolo: «..ben venga un Partito Verde di destra». Non sarà questo nuovo “partito” (che dovrebbe, poi, saper mettere insieme tutte le annunciate liste civiche e locali per sperare di superare un eventuale quorum di accesso al parlamento) a far ritornare “centrale” la questione ambientale nel nostro paese. Perché essa lo ridiventi ci vuole la capacità di saper soddisfare la voglia di innovazione e di modernità presenti nelle nuove generazioni con la capacità di rendere sostenibile lo sviluppo delle nostre città e del nostro territorio, consapevoli che bisogna ridistribuire una parte della ricchezza dell’Occidente ai paesi poveri e in via di sviluppo.

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