[01/03/2013] News

La recensioni. L’Italia inadempiente. La difficile attuazione del diritto europeo in materia di ambiente

A cura di G.Di Cosimo, CEDAM 2012

L'Italia non riesce ad attuare con regolarità e tempestività il diritto europeo dell'ambiente. Non di rado il processo si inceppa e in alcuni casi ciò comporta conseguenze onerose per lo Stato. Numerose procedure di infrazione sono state aperte di fronte alla Corte di Giustizia europea - soprattutto in tema di rifiuti, acque, habitat e sulla Via e Vas - e sanzioni sono state inflitte al nostro Stato.

Le difficoltà potrebbero essere legate alla complessità del processo di formazione della normativa europea e alla sua lontananza dalle realtà statali. Ma, potrebbero anche essere legate alla situazione materiale di partenza italiana e alla mancanza di una stabilità politica nazionale. O alla distanza  della politica interna dagli obiettivi di politica ambientale indicati dall'Ue. Così come può essere legata alle contraddizioni interne tra la politica e la politica ambientale e ai conflitti tra le competenze in materie della Regione e dello Stato.

Quale che sia la ragione resta di fatto - testimoniato dal numero di infrazioni - la difficoltà del nostro paese di attuare regolarmente e entro i termini previsti le politiche ambientali europee.

Proprio di questo fenomeno si occupa "L'Italia inadempiente. La difficile attuazione del diritto europeo in materia di ambiente". Il volume - che dà conto del lavoro dell'università di ricerca di Macerata al quale hanno contribuito anche ricercatori di altri atenei - indaga il fenomeno "allo scopo di evidenziare le cause, le forme di manifestazione, la portata, le dinamiche evolutive alla luce delle modifiche normative a livello europeo e interno".

Dunque, normalmente sono usate due argomentazioni per spiegare un così grande deficit italiano nell'attuazione della disciplina ambientale europea. Ragioni che fra l'altro non riguardano solo il settore ambientale, ma riguardano "tutti i settori di politiche, nei quali si confrontano, da una parte, la dimensione globale dei problemi con la destinazione locale della loro attuazione e, dall'altra, l'origine unitaria delle politiche (istituzioni europee) e l'eterogeneità dei soggetti esecutori finali (Stati membri, Amministrazioni territoriali e altri soggetti pubblici e privati interessati)".

Alcuni rintracciano la causa delle difficoltà attuative nel fatto che non solo le direttive europee nascono in una sede molto distante rispetto a quella su cui effettivamente andranno a incidere, ma anche nel fatto che le politiche da cui originano non tengono in debito conto la grande differenza che intercorre tra le tradizioni amministrative dei diversi Paesi. Altri invece sottolineano, che il deficit è legato alle caratteristiche istituzionali del sistema politico europeo, "capace di creare di per sé una radicale patologia di non attuazione". L'architettura istituzionale europea ha portato spesso le istituzioni europee a formulare norme ambiziose che all'atto pratico riversano sugli Stati membri un grande onere attuativo. Ricordiamo che il diritto europeo rimane un diritto di un ordinamento esterno che deve essere prima recepito nell'ordinamento interno e poi attuato a livello amministrativo.

A tali ragioni, però, si aggiungono altri profili tipici della materia ambientale.

L'ambiente è un punto di convergenza di una pluralità di interessi spesso in contrasto tra loro, interessi che coinvolgono ogni livello del processo di attuazione. Nella fase della formazione del diritto ambientale europeo capita che il Parlamento si faccia garante dell'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente, mentre il Consiglio opera come portatore degli interessi economici delle lobbies produttrici. Nella realtà regionale e locale, capita che la comunità locale, che si aggrega in appositi comitati, sia ostile e blocchi la realizzazione di una discarica, di un termovalorizzatore di un impianto eolico ecc.. mentre la comunità scientifica afferma l'idoneità di una data area per la costruzione dell'impianto.

La normativa ambientale è una disciplina tecnica che presuppone l'acquisizione e la conoscenza dei dati scientifici e tecnici disponibili. Per cui la formazione della norma tecnica deve essere affidata a organi di competenza specialistica e deve predisporre meccanismi che consentano un rapido adeguamento al progresso scientifico e tecnologico. Il che presuppone una chiara ripartizione di competenze in merito alle scelte politiche e un'efficiente rete di "esperti" e strutture. Il che presuppone "la possibilità concreta di trovare nelle amministrazioni destinatarie degli interventi tecnici interlocutori attivi e capaci".

A tutto questo si aggiunge che la distribuzione delle competenze ambientali in Italia non è semplice. Da una parte abbiamo le Regioni e dunque l'obiettivo di dare potere alle comunità locali che vivono a stretto contatto con il territorio e dall'altra lo Stato e la necessità di mantenere gran parte del potere decisionale sui livelli più alti, dove fenomeni di più ampia portata sono meglio regolati. Il che ha generato e genera conflitti fra Stato e Regioni sulle competenze in materia ambientale (articolo 117  lettera s9 della Costituzione) e molteplici sentenze della Corte costituzionale.

Da non dimenticare poi che l'ambiente è un campo in cui si ha a che fare con emergenze continue, di fronte alle quali le istituzioni democratiche rappresentative tendono a entrare in crisi.

Comunque sia, l'ambiente è un settore di difficile gestione dal punto di vista sociale e politico. Nel campo ambientale, infatti, è molto usuale non decidere oppure far decidere ad altri su determinate questioni sulle quali, invece, non si dovrebbe assolutamente temporeggiare. Anzi, ci sono questioni su cui occorrerebbe decidere nel minor tempo possibile. Però decidere presuppone, sia la conoscenza del settore su cui si interviene, sia la valutazione degli effetti della decisione stessa. La ricostruzione della complessità normativa e l'individuazione del quadro degli atti che derivano da una decisione a monte, rappresentano le prime azioni che possono servire da rimedio agli eventuali deficit di attuazione. Il problema è che molto spesso le normative ambientali italiani (la maggior parte di derivazione europea) non sono così chiare: si stratificano, non si implementano, non si armonizzano, rimandano ad altre normative portando con sé incertezze del diritto, dell' applicazione e del rispetto dei doveri sia per gli enti locali sia dei singoli privati che intendono agire correttamente.

Nel settore dell'ambiente è anche difficile far coincidere responsabilità e competenza. Qui è forte la "logica emergenziale" che risolve alcuni problemi contingenti sul piano della competenza, ma ne produce molti altri sul piano delle responsabilità. A livello interno, dunque ci sarebbe bisogno di un modo diverso di porsi dell'agire amministrativo, basato sulla logica dell'armonizzazione e secondo uno sviluppo che distingue quattro momenti: conoscenza, programmazione, controllo e valutazione. Se questo è il modo di immaginare lo sviluppo della governance ambientale a livello europeo, anche all'interno degli ordinamenti nazionali non si può prescindere da ciò.

Perciò, se da una parte adempiere è senz'altro un obbligo delle istituzioni nazionali dall'altra gli organi interni deputati all'adempimento si devono confrontare con contingenze proprie della dimensione locale. Una dimensione locale che è l'ultima destinataria degli effetti concreti della normativa europea. Ma le Regioni e gli enti locali hanno difficoltà nell'applicare la normativa. Una difficoltà che risale alla fase del recepimento legislativo. In Italia si assiste a un recepimento definito "'notarile": vengono approvate norme che si limitano a ripetere la disciplina contenuta nelle direttive. Tale meccanismo consente al legislatore di adempiere rapidamente senza un grande dispendio di energie e di scampare possibili aperture di procedimenti di infrazione. Ma, allo stesso tempo, esclude l'inserimento nel nostro ordinamento di strumenti e meccanismi che invece possono adeguare gli obiettivi delle direttive alle condizioni e alla realtà specifica in cui avviene l'adempimento. In altre parole, con l'adempimento "notarile" non si realizza l'armonizzazione del diritto interno agli obiettivi delle direttive e non si integra la disciplina esistente con la nuova disciplina di attuazione delle direttive, proprio perché le istituzioni tendono a operare come un recettore passivo della normativa europea. E pensare invece che il processo di "implementazione continuo", tipico del diritto europeo, "richiede di adeguare e di definire l'architettura di un sistema di implementazione che sia orientato ad una logica di armonizzazione a tutti i livelli, sia sul piano istituzionale che sul piano delle fonti".

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