[07/10/2011] News

"Counting the Cost": la Shell e le violazione dei diritti umani nel Delta del Niger. Accuse anche a Saipem

Secondo il rapporto "Counting the Cost - Corporation and human rights abuses in the Niger Delta" presentato nei giorni scorsi da Platform «La Shell ha alimentato violazioni dei diritti umani in Nigeria, pagando enormi contratti ai militanti armati».

Ma il gigante petrolifero anglo-olandese non è solo: «In assenza di una adeguata supervisione e di controlli,gli appaltatori della Shell, comprese multinazionali come la Halliburton, Daewoo e Saipem, hanno replicato molti degli errori della Shell».

Platform è una coalizione di Ong che si occupa di giustizia sociale ed ecologica. Le organizzazioni che hanno partecipato alla realizzazione del rapporto sono Centre for environment, human rights and development (Cehrd), Friends of the Earth Netherlands/Milieudefensie, Environmental rights action/Friends of the Earth Nigeria, Social action, Spinwatch, Stakeholder democracy Network.

Counting the Cost coinvolge direttamente la Shell in casi di violenza avvenuti tra il tra 2000 e il 2010 nel Delta del Niger, la regione più ricca di petrolio della Nigeria, e si concentra su 8 casi di violazioni dei diritti umani nell'Eastern Division delle operazioni Shell in Nigeria e Platform «Ritiene che questi casi fanno parte di un disegno più ampio di violenza, che viene alimentata dalle attività di routine della compagnia petrolifera». Il rapporto rivela come Shell effetti pagamenti abituali ai ribelli armati, esacerbando i conflitti e in un caso portando alla distruzione tra il 2005 e il 2008 della città di Rumuekpe, nel Rivers State, dove si pensa che siano state uccise almeno 60 persone.

Secondo "Counting the Cost", la Shell tiene i piedi in due scarpe, da una parte paga i guerriglieri e dall'altra «Continua a contare sulle forze governative nigeriane che hanno perpetrato abusi sistematici dei diritti umani contro la popolazione locale, tra i quali uccisioni illegali, torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti».

Platform ha raccolto testimonianza e visto i contratti che coinvolgono la Shell nei pagamenti ai miliziani armati e afferma che «In un caso nel 2010 (Joinkrama 4), la Shell è accusata di aver trasferito oltre 159 mila dollari ad un gruppo probabilmente legato alla violenza delle milizie».

La Shell ammette di aver pagato, a partire dal 2006, migliaia di dollari ogni mese ai militanti armati di Rumuekpe, e secondo Platform era pienamente consapevole che il denaro veniva utilizzato per sostenere tre anni di conflitto. Un membro di una banda armata, Chukwu Azikwe, ha detto a ricercatori Platform, «Abbiamo avuto soldi, il denaro è stato usato per comprare munizioni, per acquistare questo proiettile e ogni altra cosa da mangiare e per sostenere la guerra».

Un manager della multinazionale nel rapporto espone i problemi strutturali del programma "community development" della Shell, sostenendo che «Il denaro non va nelle mani giuste» e che le proteste delle comunità povere hanno portato la Shell a chiudere un terzo della sua produzione di petrolio nell'agosto di quest'anno, dopo 12 sversamenti petroliferi nell'area di Adibawa.

La coalizione di Ong britanniche, olandesi e nigeriane chiedono che «La Shell ponga fine ad oltre cinque decenni di devastazione sociale e ambientale e rompa i suoi stretti legami con le forze governative ed altri gruppi armati responsabili di violazioni».

Il rapporto di Platform condanna anche il governo nigeriano per non aver protetto i diritti dei suoi cittadini e sollecita il presidente Goodluck Jonathan «A trovare soluzioni politiche alla crisi del Delta invece di risposte militari».

Ben Amunwa, di Platform, ha detto presentando "Counting the Cost": «Questa ricerca getta nuova luce sul ruolo attivo della Shell nelle violazioni dei diritti umani durante un decennio di terribili violenze nel Delta del Niger. Shell afferma che non ha nulla a che fare con la crisi, ma la società è coinvolta in abusi diffusi e nella militarizzazione. Mentre Shell cita i "problemi di sicurezza" come una comoda scusa per il suo spaventoso record ambientale, ha anche omesso di adottare le misure necessarie per risolvere i conflitti. In molti casi, le attività della Shell hanno creato insicurezza».

Il rapporto di Platform arriva alla fine di un periodo durissimo per la Shell: L'Onu ha pubblicato un rapporto schiacciante sull'impatto ecologico delle fuoriuscite di petrolio nell'Ogonilan, molte delle quali causate da impianti della Shell. Un rapporto Unep ha rivelato che la Shell aveva operato in Nigeria al di sotto degli standard internazionali e che la multinazionale aveva certificato siti fortemente contaminati come "puliti".

Dopo una causa intentata a Londra La Shell ha ammesso la responsabilità per due grandi fuoriuscite di petrolio, nel 2008 a 2009, nella comunità ogoni di Bodo. La società anglo-olandese deve ora affrontare le spese di risarcimento stimate in 410 milioni dollari e potrebbe essere costretta a bonificare i danni. Secondo l'Unep la bonifica del solo Ogoniland potrebbe essere la più grande operazione di questo genere mai fatta al mondo, al confronto le operazioni di bonifica nel Golfo del Messico dopo il disastro della piattaforma offshore della Bp Deepwater Horizon sarebbero un'inezia: ripulire l'Ogoniland potrebbe richiedere fino a 30 anni. Al tribunale internazionale dell'Aja sono in corso le udienze di una causa intentata contro la Shell dagli Amici della Terra e da quattro vittime nigeriana delle fuoriuscite di petrolio.

Geert Ritsema, di Friends of the Earth Netherlands Shell, sottolinea che «Le pratiche di divisione della Shell hanno portato ad una quotidiana violazione dei diritti umani nel Delta del Niger. Molte delle vittime non hanno accesso alla giustizia e non possono permettersi di portare il gigante petrolifero in tribunale. Le cause in Nigeria possono richiedere decenni per essere risolte e i rimedi sono spesso inadeguati. Eppure, la Shell deve essere ritenuta responsabile per la sua distruzione ambientale e la complicità nella violazioni dei diritti umani in Nigeria e governi dei Paesi in cui ha sede, come la Gran Bretagna e l'Olanda, devono garantire che i rimedi siano disponibili e accessibili per le vittime».

L'ufficio londinese della Shell ha contestato il rapporto di Platform, mettendo in discussione l'accuratezza delle prove raccolte. Ma le associazioni ambientaliste ribattono che per quanto riguarda i dati sulle fuoriuscite di petrolio forniti dalla Shelli «Le affermazioni dell'azienda non sono soggette a verifica indipendente». Secondo la legge nigeriana, la Shell ha l'obbligo di ripulire tutte le fuoriuscite di petrolio, indipendentemente dalla causa, ma il risarcimento per le vittime non è dovuto se la fuoriuscita viene causata da un atto di sabotaggio. Per Nnimmo Bassey, di Friends of the Earth International, «Gli obblighi della Shell sono chiari: deve ripulire dopo decenni di sversamenti devastanti di petrolio, porre fine alla pratica illegale del gas flaring e risarcire le vittime delle violazioni dei diritti umani in Nigeria. E' inaccettabile che la Shell continui a negare la propria responsabilità, mentre spinge le comunità verso una povertà ancora più profonda e alimenta conflitti distruttivi».

Jedrzej George Frynas, della Middlesex University,che sarà uno dei principali relatori della "Oil Politics in Africa Conference" che si terrà il 16 novembre a Coventry, in Inghilterra, spiega il trucco usato dalla multinazionale: «Al fine di minimizzare le sue responsabilità, la Shell afferma che il 90% delle fuoriuscite di petrolio sono dovute a sabotaggi. Le false dichiarazioni di sabotaggio sono comuni per le compagnie petrolifere nel Delta del Niger».

Forse è in questo gioco delle parti, in questi interessi comuni a "coprire" le rispettive malefatte, che si può trovare la spiegazione dello strano intreccio economico/politico nel Delta del Niger, fatto di complicità e tangenti tra bande armate, multinazionali petrolifere ed esercito e governo nigeriano, in un mare di petrolio, soldi e miseria.

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