[19/10/2011] News

Dipartimento di Stato Usa: ĞIl mondo comincia a prendere coscienza delle migrazioni climaticheğ

Il dipartimento di Stato Usa ha pubblicato il documento "Climate Migration" Gains the World's Attention nel  quale si legge che «L'evoluzione del clima non è solamente responsabile dell'innalzamento del livello dei mari e di periodi di siccità nefaste per le  colture: spinge anche un numero crescente di persone a lasciare le loro case per altri orizzonti».

Il documento è il frutto del recente forum "Conversations about Climate Change Adaptation: Displacement, Migration and Planned Relocation" organizzato dalla Brookings Institution a Washington il 7 ottobre e durante il  quale climatologi e specialisti di flussi migratori hanno fatto osservare all'amministrazione Usa che «Per la prima volta, la comunità internazionale riconosce l'esistenza di questo fenomeno e  la necessità di gestire la questione dei reinstallamenti» e che «Di fronte alle migrazioni climatiche ci sono dei Paesi che formulano dei Piani di azione nazionali».

Susan Martin, della Georgetown University, ha sottolineato che «Lo vedete in Bangladesh e in Cambogia e in altri Paesi che parlano dell'aumento di cattivi raccolti delle penurie alimentari e delle migrazioni, in particolare dell'esodo rurale. L'Eritrea e l'Etiopia tengono conto dei loro antecedenti migratori nelle loro strategie di fronte alle siccità a ripetizione, mentre la  Gambia parla del carattere imprevedibile della stagione delle piogge che colpisce i movimenti della popolazione».

Chaloka Beyani, della London School of Economics e specialista in profughi interni dell'United Nations Human rights council, ha evidenziato «l'importanza di pianificare queste migrazioni in modo da evitare di accentuare la degradazione dell'ambiente». Ricordando il suo recente soggiorno in una zona di campi di rifugiati in Kenya, dove i servizi e l'approvvigionamento idrico sono carenti, Beyani  ha deplorato «L'assenza di uno studio preliminare sui rischi ambientali» e ha fatto notare che «l'afflusso di nuovi arrivati potrebbe aggravare le pressioni sull'ambiente».

Un punto di vista condiviso da Robin Mearns, uno specialista in cambiamento climatico della Banca Mondiale, che ha detto al forum di  Washington: «Meglio pianifichiamo i reinstallamenti e le migrazioni, meno i futuri spostamenti saranno costosi e perturbatori. Le  stime del numero di persone che dovranno la sciare la  loro regione a causa dei cambiamenti climatici variano considerevolmente. Oscillano tra centinaia di milioni e solamente migliaia. I primi studi presentano uno scenario molto più allarmante che  quelli che emergono dai  lavori di ricerca più recenti, il che fa pensare che le persone si comporteranno probabilmente come nel  quadro dei flussi migratori già stabiliti. Il degrado dell'ambiente non è che una ragione tra le altre che incitano le persone a partire, e  quando un avvenimento catastrofico, per esempio un'inondazione, è terminato, molti ritornano a casa. I cambiamenti climatici hanno la tendenza ad amplificare I flussi migratori esistenti e non a provocarne altri interamente nuovi. Sappiamo che le migrazioni legate al cambiamento climatici prenderanno essenzialmente la forma, con tutta probabilità, di movimenti provenienti dalle zone rurali verso le città all'interno dei Paesi in via di sviluppo  e che la  maggioranza dei migranti a livello mondiale, compresi  quelli in cui gli spostamenti sono provocati dai cambiamenti climatici, resteranno probabilmente nei loro Paesi, invece di passare le frontiere internazionali».

Il Dipartimento di Stato Usa ricorda che «Un accordo forgiato in Messico nel 2010 durante dei negoziati climatici condotti sotto l'egida delle Nazioni Unite, comporta una disposizione, la prima nel suo genere, che chiede ai Paesi di coordinare i loro lavori basandosi su "climate-induced displacement, migration and planned relocation". I Paesi ricchi si sono impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno entro il  2020, nel quadro di una combinazione di programmi dei settori pubblico e privato, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a prepararsi a superare  queste sfide, dato che saranno  quelli che soffriranno di più gli effetti nocivi del cambiamento climatico».

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