[08/02/2012] News

Zygmunt Bauman e un sistema educativo da rifondare, per un nuovo modello di vita

Al di là delle tristi battute italiche sugli studenti sfigati e i ragazzi bamboccioni, l'esigenza di mutare il rapporto ormai conflittuale che la nostra società ha con il mondo dell'educazione si fa sempre più pressante. D'altronde, il significato dell'educazione si estende ben oltre i confini di un'aula scolastica, e la nostra capacità di gestire questo mondo riflette in pieno quella di districarsi, nel presente e nel prossimo futuro, nel più ampio e variegato spettro sociale preso nel suo complesso.

Riccardo Mazzeo ha recentemente condensato, in un libro scritto a quattro mani con Zygmunt Bauman, un lungo dialogo sull'argomento portato avanti insieme al noto sociologo e filosofo di origine polacca.  Il volumetto, intitolato "Conversazioni sull'educazione", centra la sua riflessione attorno al «rapporto tra l'economia del consumo e la crisi del sistema educativo» - come riporta oggi il Manifesto - dove anche la conoscenza diventa «una merce che può essere acquistata ma, una volta che i singoli entrano in suo possesso, risulta obsoleta. Da qui la tensione a sostituirla. [...] Per quanto riguarda la conoscenza, e l'educazione, assistiamo a un vero e proprio smacco. Una volta che il sapere è ridotto a merce, l'educatore è un semplice venditore».

Quale, dunque, l'oscura conclusione di tale processo? La risposta che ne danno gli autori del suddetto volume, ancora una volta sintetizzata dal quotidiano comunista, è drammatica: «l'educazione non forma più nessun uomo, e donna, nuovo, ma contribuisce a riprodurre la figura dell'homo consumer». La cultura si trova costretta così ad abiurare dalla sua più profonda natura, quella che conduce al progresso della società umana e dei singoli individui che la compongono attraverso la proposizione critica e la continua rielaborazione di quella sorta di modelli cognitivi che costituscono le placche tettoniche sulle quali le civiltà si muovono, scontrano, evolvono.

«Per operare nel mondo (anziché essere da questo manipolati) occorre conoscere come il mondo opera», scrive Bauman all'interno del suo classico "Modernità liquida": conoscere per cambiare. Conoscere però di una conoscenza viva e vitale, che niente ha a che spartire con un'educazione da fast food, reclamizzata e svenduta a poco prezzo per saziare gli appetiti del momento, ma con risultati a lungo termine disastrosi per l'organismo che va a nutrire, se si va oltre la dose - minima - consigliata.

Per ripartire con un nuovo modello di sviluppo (e di vita) che faccia della sostenibilità il perno attorno al quale ruotare, il ruolo dell'educazione è a dir poco fondamentale. L'educazione - e l'educatore, inteso in senso lato - plasma infatti una cultura specifica che, schiava o libera, critica o ancillare, andrà a formare dei comportamenti particolari in quegli individui che di tale cultura si abbeverano. Se è l'acquistismo oggi imperante a forgiare la cultura, anziché la cultura a capire e ricombinare il rapporto che abbiamo con le merci e, più in profondo, coi nostri bisogni, procediamo allora a passo di gambero.

La situazione si dipinge dunque come drammatica, ma gli allarmismi fini a se stessi non aiutano a sfangare un momento difficile. Se ancora si producono e diffondono pensieri e scritti eterodossi, i lumicini che guidano nel buio della paralisi culturale (e politica, economica, sociale ed ecologica) ancora non sono spenti. Sta a chi se ne ritiene sano portatore - o comunque prova ad esserlo - alzare il lume più in alto, perché altri possano vedere, per poi attingere a quella stessa fiamma e svilupparla secondo le proprie ispirazioni o, ancor meglio, riuscire ad accendere una propria, originale.

Perché altrimenti, una cultura ed un'educazione rapite della loro essenza e ridotte a meretrici potranno forse aiutare a raggiungere uno scadente autocompiacimento nell'uomo contemporaneo, ma non potranno certo aiutarlo ad evolvere. Una volta completamente assorbiti all'interno di questo modello di propaganda culturale, è poi difficile rendersi conto del passo indietro ormai compiuto, dato che la realtà offre scarsi appigli che possano mettere in evidenza la differenza. Una volta dentro un sogno, infatti, non è possibile riconoscere la differenza tra la veglia e il sonno, almeno finchè non ci svegliamo.                            

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