[05/11/2012] News

GreenItaly 2012, la faccia verde dell'economia italiana crea occupazione e ricchezza

Non solo «i più classici settori delle fonti rinnovabili, dell'efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della protezione della natura»: la green economy italiana si concretizza in innumerevoli sfumature, passando «dalla chimica alla farmaceutica, dal legno-arredo all'high tech, dalla concia alla nautica, passando per l'agroalimentare, l'industria cartaria, tessile, edilizia, minerali non metalliferi, per la meccanica, l'elettronica e i servizi». È quanto emerge dal rapporto GreenItaly 2012 - realizzato con il patrocinio dei ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico e con la partnership di Wired, Comieco e Fiera Milano Congressi - che Fondazione Symbola e Unioncamere hanno presentato oggi a Roma.

Passando al setaccio il tessuto economico italiano alla ricerca di tracce di sostenibilità, il rapporto GreenItaly ha trovato più di una pepita. Tanto numerose da parlare di «rivoluzione verde che già oggi interessa il 23,6% delle imprese industriali e terziarie con almeno un dipendente che tra il 2009 e il 2012 hanno investito o investiranno in tecnologie e prodotti green. E che attraversa il Paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate da quattro regioni settentrionali e sei del Centro-Sud». Una "rivoluzione verde" che - nonostante presenti numeri sempre più importanti ed incoraggianti - abbraccia ancora poco meno di 1 impresa su 4, e questo dà la cifra di quanta strada ancora ci sia da percorrere all'interno di questo percorso virtuoso.

A conferma dell'andamento tendenzialmente anticiclico che il fattore sostenibilità conferisce alle imprese, nel rapporto si legge che, nel perdurare della crisi, «circa il 30%  delle assunzioni non stagionali programmate (la cifra sale al 38,2% considerando le stagionali, ndr) complessivamente dalle imprese del settore privato per il 2012 è per figure professionali legate alla sostenibilità».

Certamente una buona parte del merito va alla capacità della green Italy di saper innovare e saper giocare le proprie carte anche all'interno di un mercato sempre più internazionale: «il 37,9% delle che investono in eco-sostenibilità imprese - comunica il rapporto - hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011, contro il 18,3% delle imprese che non investono green. Idem dicasi per la propensione all'export: il 37,4% delle imprese green vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non investono nell'ambiente».

Un approccio strategico in risposta alla crisi, quello della sostenibilità, perseguito specialmente nel settore della manifattura, dove «la quota di imprese che realizzano investimenti green supera il 27% a fronte di un più ridotto 21,7% nel terziario». L'imprenditoria italiana dimostra quindi di riporre fiducia anche per il futuro della green economy in Italia, reputandola un settore chiave per il futuro del Paese. Non a caso tra le «nuove imprese individuate da Unioncamere (circa 103mila) nei primi sei mesi del 2012, il 14% ha già realizzato nella prima parte dell'anno o realizzerà entro il 2013 investimenti green».

«Per far ripartire il Paese non basta fronteggiare la crisi - spiega il presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci - Affrontare i nostri mali antichi: il debito pubblico, l'illegalità e l'evasione fiscale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, il sud che perde contatto, una burocrazia speso soffocante. Serve una visione in grado di mobilitare le migliori energie per affrontare le sfide del futuro. È necessario difendere la coesione sociale non lasciando indietro nessuno, e scommettere sull'innovazione, sulla conoscenza, sull'identità dei territori: su una green economy tricolore che incrocia la vocazione italiana alla qualità e si lega alla forza del made in Italy. È necessario cambiare partendo dai talenti dell'Italia che c'è. Per uscire dalla crisi e trovare il suo spazio nel mondo che cambia, insomma,  l'Italia deve fare l'Italia».

Dalle pagine del rapporto il modello green risulta, nel tempo, sempre più diffuso nei diversi settori e nei diversi territori del Paese, tanto che le analisi sembrano evidenziare un processo di «ecoconvergenza» nel nostro sistema, ovvero una tendenza ad incrementare i livelli di eco-efficienza proprio laddove gli impatti ambientali delle attività economiche appaiono più accentuati. «La peculiarità della green economy italiana, infatti, sta proprio nella riconversione in chiave ecosostenibile anche dei comparti tradizionali dell'industria italiana di punta. Il Paese ha sviluppato in maniera diffusa nelle sue imprese e nei territori una reinterpretazione della green economy del tutto particolare, che incrocia le vocazioni delle comunità con la tecnologia e la banda larga, la filiera agroalimentare di qualità legata al territorio con il made in Italy e la cultura. Non è un caso se l'Ocse, nel recente rapporto sull'innovazione nei diversi paesi aderenti all'organizzazione, ha rilevato come nell'ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all'ambiente hanno sviluppato per il nostro Paese una vera e propria specializzazione.»

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