[27/11/2012] News

Economia delle catastrofi, sale il conto dei disastri ambientali: come gestire il rischio?

Costi pari a 1.213 miliardi di dollari nel decennio 2001-2010

Nel 2005 l'uragano Katrina investì la città di New Orleans, causando 1.300 morti, in gran parte evitabili, e trovando del tutto impreparata sia la città sia il governo federale degli Stati Uniti. Nelle scorse settimane l'uragano Sandy ha investito la città di New York. Anche se ha prodotto danni per 50 miliardi di dollari e costretto all'evacuazione migliaia di persone, ha causato molte meno vittime e ha trovato abbastanza preparata sia la città sia il governo federale degli Stati Uniti. Qualcuno sostiene che Barack Obama deve la sua rielezione proprio al modo efficiente con cui ha gestito l'emergenza.

Ebbene, sostiene Erwann Michel-Kerjan in un recente articolo sulla rivista scientifica Nature, è su questa strada della prevenzione e della gestione scientifica del rischio ambientale che bisogna andare avanti. Perché Katrina e Sandy sono sempre meno un'eccezione e sempre più la "nuova norma".

Il consiglio è autorevole, perché Erwann Michel-Kerjan si occupa di teoria e pratica della gestione del rischio. Insegna e fa ricerca, infatti, presso la Wharton School della University of Pennsylvania, dove dirige il Wharton Risk Center. Inoltre presiede il Consiglio dell'Ocse sulla Gestione finanziaria delle catastrofi, che ha la sua sede a Parigi.

Il suo approccio è pragmatico. Rileva come l'economia delle catastrofi, ovvero i costi che in tutto il mondo abbiamo pagato per fronteggiare i disastri ambientali naturali - uragani, frane, inondazioni, terremoti, tsunami - sia più che raddoppiato in pochi decenni. Il mondo ha pagato un conto di 528 miliardi di dollari per disastri ambientali nel decennio 1981-1990, ma ha dovuto staccare assegni per 1.213 miliardi di dollari nel decennio 2001-2010.

Queste cifre, calcolate al netto dell'inflazione e a parità di potere d'acquisto delle monete dei diversi stati colpiti, dimostrano in maniera inequivocabile che il rischio ambientale ha costi crescenti. Sia perché investe società sempre più complesse (è il caso dello tsunami in Giappone che ha investito la centrale nucleare di Fukushima) sia perché (è il caso degli eventi meteorologici estremi e del dissesto idrogeologico) il rischio si manifesta con maggiore frequenza. Lo sappiamo bene anche in Italia: dove bombe d'acqua, inondazione e frane sono diventate la "nuova norma" che costella le nostre primavere e i nostri autunni.

Per tutti questi motivi, sostiene Erwann Michel-Kerjan, dobbiamo adattarci. Costituendo sistemi di prevenzione e di gestione del rischio scientificamente fondati, bene attrezzati e che abbiano una collocazione importante a livello dei governi. In Italia, per esempio, avremmo bisogno di rafforzare il Sistema di Protezione Civile, (evitando, s'intende, che sprechi tempo e risorse a organizzare manifestazioni religiose e campionati sportivi, come è avvenuto in un recente passato).

La migliore prevenzione e gestione del rischio, sostiene Erwann Michel-Kerjan, deve essere integrata. Occorre, cioè, guardare al rischio ambientale in maniera olistica, connettendo tutte le sue dimensioni. Compresa, aggiungiamo noi, quella della comunicazione e della diffusione di una matura cultura del rischio.

Ci sono esempi di questo genere? Esempi di paesi che si stanno adattando alla "nuova norma"? Ce ne sono, nel mondo, certamente molti. Magari settoriali. Il Giappone, nel marzo 2011, ha dimostrato di saper gestire molto bene il rischio terremoto, ma non il combinato disposto del rischio tsunami e del rischio nucleare.

Un buon esempio, sostiene Erwann Michel-Kerjan, ci viene dal Marocco.  Con l'aiuto economico della Banca Mondiale e per l'Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione, il paese nordafricano sta allestendo un sistema integrato per la mitigazione del rischio di inondazioni, terremoti, tsunami, siccità e altri rischi ambientali. Certo, Erwann Michel-Kerjan è direttamente impegnato in quel progetto. Ma, nonostante questo, è significativo che l'esperto americano indichi alla potenza leader dell'Occidente, gli Stati Uniti, come modello da seguire nella gestione del rischio e di adattamento alla "nuova norma", la buona pratica di un piccolo paese africano, il Marocco.

Al netto della condizione di conflitto di interesse, quella di Erwann Michel-Kerjan (e di Nature, che la ospita) è un'indicazione autorevole. Che dovrebbe far riflettere gli americani. E non solo.

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