[27/11/2012] News

Acciaio liquido e ambiente svenduto: l'Ilva di Taranto non si affronta fuggendo

Cogliati Dezza (Legambiente): «Impedire ogni via di fuga che permetta ai Riva di lasciare azienda e cittą nelle pesti»

Capital Steel è la più grande acciaieria cinese. In questa città-fabbrica lavorano (e vivono) 100mila figli del Celeste impero. Lo studio della bonifica di questo colosso prevede lavori per 10 anni, e passerà dalle mani della D'Appoloni, società d'ingegneria genovese. Sarà portata avanti con fondi cinesi e conoscenze italiane: «Il ministero dell'Ambiente italiano - riporta il Sole24Ore presentando l'international forum Green growth. A joint perspective from China and Italy, in corso a Venezia - da circa dodici anni svolge ormai un'opera di orientamento per le aziende italiane in Cina con una dichiarata vocazione verde». Il ministro Corrado Clini, presente al forum, è stato chiaro: «Ai cinesi serve il nostro know how nei settori della protezione ambientale».

Chissà con quali occhi la Cina sta dunque guardando il dramma che si consuma all'Ilva di Taranto, la più grande acciaieria d'Europa. Dopo la nuova raffica di arresti e sequestri portata avanti dalla guardia di finanza, con le accuse di associazione a delinquere, concussione, concorso in disastro ambientale.

All'Ilva stamani le porte sono chiuse, e i lavoratori in sciopero. La proprietà dello stabilimento ha deciso infatti per la chiusura «immediata e ineluttabile» dello stabilimento, comunicata ieri. Stamani, davanti ai dipendenti, il direttore dello stabilimento Ilva, Adolfo Buffo (che ha ricevuto un avviso di garanzia da parte della magistratura), sembra aver già fatto marcia indietro: «Questi giorni di mancato lavoro vi saranno retribuiti - ha affermato - Vi assicuro che la proprietà non vuole chiudere definitivamente lo stabilimento di Taranto ma vogliamo andare avanti».

Un tira e molla inaccettabile, che continua a gravare sulle spalle dei tarantini e non solo. Di sicuro c'è il vertice convocato per giovedì a Palazzo Chigi, in forse un (opportuno) commissariamento: il ministro Clini nei giorni scorsi ha riferito di essere orientato «Per quanto riguarda il commissario alla bonifica dell'area di Taranto verso una figura istituzionale, il commissario sarà il presidente della Regione Puglia», Nichi Vendola. «Quello di giovedì non sarà un incontro interlocutorio - afferma Clini - Contiamo di uscire con un provvedimento, lavoriamo a un decreto per l'applicazione dell'Aia», l'Autorizzazione ambientale integrata rilasciata dal ministero dell'Ambiente il 26 ottobre scorso. Il ministro va giù durissimo: «E' evidente che l'obiettivo, anche della Procura tarantina, è di bloccare l'attuazione dell'Aia e di arrivare alla chiusura dello stabilimento. Stanno cercando di creare le condizioni per cui l'Aia non sia applicabile. Questo non è legale, si sta creando un ostacolo al rispetto della legge. Devono rassegnarsi, su questo non mollo»..

Un contrasto tra braccia dello Stato che è frutto di una cecità lunga cent'anni. Quella che un tempo si chiamava Italsider nasce nel 1905, e cresce poi come industria di stato. A Taranto il disastro ambientale è in corso da generazioni. Prima la mano pubblica, dunque, poi l'occhio pubblico (che avrebbe dovuto sorvegliare con molta più severità le attività della famiglia Riva) sono corresponsabili di una contrapposizione forzata, quella tra lavoro e ambiente (e salute), che non ha senso di esistere.

Se l'azienda chiudesse definitivamente, non sarebbe un successo per nessuno. Non per i lavoratori, né per l'economia: sono a rischio 20mila occupati (insieme alle loro famiglie) tra dipendenti diretti e indotto; si scioglierebbe d'improvviso lo scheletro d'acciaio che unisce Taranto agli stabilimenti di Racconigi, Novi Ligure, Genova, Marghera, Patrica. Che unisce l'Ilva a tutte quelle aziende che in Italia lavorano l'acciaio, rifornita da Taranto per il 40% del totale; complessivamente, un danno da miliardi di euro per la già sofferente economia italiana. L'Italia può fare a meno di produrre acciaio? Così non sembra, almeno al momento. Ma un piano nazionale sul futuro del comparto, anche per un suo ridimensionamento, ancora non c'è. Nemmeno si vede all'orizzonte ciò che più manca, ovvero una politica industriale ecologica che stabilisca cosa intende fare del suo presente e del suo futuro il tessuto produttivo del Paese.

Non sarebbe un successo nemmeno per l'ambiente e la salute dei tarantini: non ci saranno bonifiche o risanamenti se l'azienda chiude. «Il governo deve intervenire per obbligare l'azienda al miglioramento degli impianti e al risanamento dell'ambiente continuando a produrre - commenta Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale Legambiente - Senza l'intervento della Magistratura saremmo ancora molto lontani dal conoscere gli equivoci affari condotti dall'azienda ma a questo punto è necessario impedire ogni via di fuga che permetta ai Riva di lasciare azienda e città nelle pesti, dopo aver sfruttato senza ritegno risorse e operai, senza mai affrontare seriamente alcuna ipotesi di risanamento e innovazione che avrebbe permesso all'azienda di stare sul mercato in maniera competitiva e sostenibile».

Alla luce delle intercettazioni pubblicate oggi, inoltre, Legambiente chiede le dimissioni di coloro che sono risultati compromessi nella vicenda dell'Aia del 2011 rilasciata dall'allora ministro Prestigiacomo che, «come denunciato subito dalla nostra associazione, era stata scritta dalla stessa azienda».

Tutte le responsabilità penali dovranno essere accertate: non è possibile pensare ad un condono tombale sul passato. Il futuro che proveremmo a garantirci sarebbe comunque torbido. L'Italia è costretta adesso a specchiarsi in Taranto, vedendo il mostro della negligenza. Ma per riscattarci non possiamo non basta adesso chiudere tutto e girarci dall'altra parte, serrando gli occhi come un bambino messo davanti alle proprie colpe. 

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