[27/03/2013] News toscana

Il treno della Toscana corre veloce, ma ancora non ce l'ha fatta

La freccia del sud continua la sua corsa. Il nome del grande atleta italiano, Pietro Mennea, dopo essere stato tristemente inciso su una lapide si ritrova, lucente, a brillare sulla carrozzeria del treno Frecciarossa 1000. Uscito dalle officine dell'Ansaldo Breda di Pistoia, accolto da fumi e musica da discoteca, il treno da 400 km/h per l'ad delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti è «il treno della svolta. Il più bello, veloce, all'avanguardia in Europa».

Nel mentre, proprio in Toscana - più precisamente, sulla linea tirrenica - infuria la polemica di politici e cittadini contro Trenitalia, che ha paventato la concreta ipotesi di sopprimere il transito di sei convogli Frecciabianca già da giugno 2013 perché non remunerativi, indebolendo ulteriormente la mobilità toscana.

In questa storia a due facce, rimane comunque l'orgoglio per la manifattura italiana, ferita da 5 anni di crisi, per essere riuscita a sfornare un gioiello tecnologico (che sfreccerà però sulle rotaie nazionali soltanto a partire da inizio 2015). Il presidente della Regione, Enrico Rossi, avrà dunque pensato fosse il momento buono per tessere le lodi di un settore effettivamente fondamentale per l'ecosistema economico toscano e non solo: quello manifatturiero.

Dalla prima pagina di Repubblica Firenze, Rossi scrive che «c'era chi dava per morta la nostra industria. La realtà e i dati smentiscono queste previsioni. Oggi la Toscana, pur in un quadro generale drammatico sul piano sociale e dell'occupazione, non sta affatto peggio di altre regioni». Il presidente passa in rassegna i successi dell'export toscano, cresciute nel 2012 «del 13% rispetto a quelle del 2008», contro il 2,7% della Lombardia o lo 0,7% del Veneto, per poi passare a sottolineare «la performance del turismo, che conferma un'antica vocazione della Toscana a cui guardare con un nuovo slancio».

«Certo tutto questo da solo non basterà - chiosa dunque Rossi - senza una ripresa della domanda interna e una diversa distribuzione della ricchezza sarà difficile possa riprendere l'occupazione. E questo chiama in causa la grande assente di questi ultimi anni: una vera politica industriale nazionale. Se la Toscana ce l'ha fatta è grazie ai suoi imprenditori, alle forze sociali, all'ingegno dei lavoratori, ai valori della sua storia, alle istituzioni che hanno scelto di supportare questa linea per far fronte alla crisi. Da qui dobbiamo ripartire per aprire una nuova fase del patto per lo sviluppo, basato su azioni puntuali e concrete».

Vero, ma tutto questo rappresenta purtroppo un successo soltanto relativo. Troppo relativo. La Regione Toscana rappresenta una realtà d'eccellenza nel panorama sociale ed economico italiano, e lo dimostra con la vitalità di alcuni suoi settori produttivi. Ma, come ricorda l'ultimo dossier Irpet, dal 2008 al 2012 la disoccupazione giovanile è raddoppiata, passando dal 15 al 30%. Il tasso di disoccupazione generale è adesso del 9%, il livello più alto mai registrato dal 1990. Il tessuto del welfare, che finora ha bene o male o retto, si sta sfibrando dallo sforzo. Soltanto nei primi due mesi del 2013, avverte oggi la Cna, in Toscana hanno chiuso i battenti 2.012 aziende, una vera e propria strage di piccole aziende artigiane. Il presidente toscano della Confederazione, Mauro Fancelli, ammette sconsolato che «l'ossigeno per le aziende è finito. Il 2013 non poteva iniziare in modo peggiore. I dati confermano, impietosamente, il processo di deindustrializzazione in atto», una tendenza che cozza decisamente con la «centralità del manifatturiero» giustamente difesa da Rossi. 

Non può essere dunque una consolazione se i nostri vicini, le altre regioni, stanno peggio di noi. Le parole del presidente siano dunque di stimolo per il sistema toscano, che per buona parte deve ancora affrontare la sfida di un cambiamento di paradigma, volto alla conquista di un modello di sviluppo più sostenibile. Lasciarsi tentare dal cullarsi sugli allori, in una fase di sforzo necessariamente propulsivo come questa, sarebbe infatti una scelta fatale. 

Un modello da seguire già ce l'abbiamo, la cosiddetta Tuscanomics, e dobbiamo esserne fieri. Possiamo sfruttare le potenzialità dei distretti, la qualità della ricerca universitaria, l'industriosità di tutte quelle imprese - dalla biotecnologia alla manifattura del riciclo - che proprio in Toscana fanno dell'innovazione la propria carta da giocare.

Partire un passo avanti agli altri, in questa corsa, non ci faccia però cadere nel tranello della bambagia. Applaudiamo pure, com'è giusto che sia, la nascita in terra toscana del Frecciarossa 1000,  «il treno della svolta» da 400 Km/h. Ma ricordiamo anche che dall'altra parte del mondo (in Giappone, per la precisione) i treni corrono già a 580 all'ora. Non rischiamo di rimanere indietro.

Torna all'archivio