[24/11/2006] Energia

Carbone leggero (in bolletta) e uranio pesante (sul mercato)

ROMA. Il presidente onorario del World energy council, Sandro Clerici ha aperto ieri il Rome energy meeting ricordando agli analisti dell’energia presenti, i tempi che ci separano dalla fine delle fonti fossili. Al ritmo degli attuali consumi energetici il petrolio finirà tra quaranta anni, secondo Clerici; la situazione potrebbe andar meglio nel caso in cui si scoprissero ulteriori giacimenti da sfruttare. Ma potrebbe andare anche peggio, perché Clerici è sicuro che i consumi a livello mondiale continueranno a crescere.

Non è più rosea la situazione che descrive per quanto riguarda il gas per cui prevede 60 anni di riserve accertate e anche con il carbone si andrebbe poco lontano, al massimo 2 secoli. Allora Clerici esorta i partecipanti al meeting a darsi da fare per agire secondo un doppio binario; risparmio energetico da una parte e nucleare dall’altra. La notizia è apparsa sul Sole 24 ore di oggi, e tiene insieme il rilancio del nucleare come scelta ineluttabile fatto da Clerici e l’annuncio che fa Gnudi, presidente dell’Enel, dei risparmi che potremo avere in bolletta grazie al carbone.

Le criticità che il nucleare pone, secondo Clerici potrebbero essere affrontate intanto con una corretta campagna di informazione per battere le resistenze dei cittadini, (che in Italia nel 1987 hanno votato contro il nucleare). Gli ingenti costi di realizzazione di una centrale nucleare (che finalmente vengono dichiarati) assai più alti rispetto alle centrali a combustibili fossili (ma anche rispetto al Kwh prodotto con il fotovoltaico), a detta del presidente del Wec verrebbero compensati in pochi anni dai più bassi costi di gestione (ma probabilmente nei costi di gestione non ha contabilizzato lo smaltimento delle scorie, nella foto).
E Clerici conclude che si otterrebbe così la risoluzione, con un solo passaggio, dei principali problemi che affannano il settore energetico: la dipendenza dalle fonti fossili e la difficoltà a rispettare gli impegni di Kyoto.

Di risparmio, non di energia ma sulle bollette, parla invece il presidente dell’Enel, Piero Gnudi, che annuncia ribassi sino al 20% rispetto all’attuale se gli lasceranno completare il piano di riconversione a carbone (non dimenticando naturalmente l’aggettivo pulito) di alcuni impianti attualmente ad olio combustibile.

Ma dato che le preoccupazioni da cui era partito Clerici si basavano sull’esigua quantità delle risorse ancora disponibili in termini di combustibili fossili e sul vantaggio che il ricorso al nucleare porterebbe rispetto alla dipendenza dai combustibili, e che uno degli obiettivi dichiarati da Gnudi è quello di abbassare le bollette energetiche, è interessante leggere un altro articolo sempre sul Sole 24ore di oggi, che riguarda l’uranio.

Si legge infatti che le rilevazioni di Ux Consulting mostrano una progressione impressionante dei prezzi del metallo radioattivo, che negli ultimi tre anni è passato da 10 dollari alla libbra nel 2003 a 36,25 dollari all’inizio dell’anno e già ad oggi è arrivato a 62,50. Un record che secondo gli analisti del settore potrebbe addirittura arrivare a 100 dollari alla libbra nel giro di sei mesi.

Il motivo di questa impennata viene ricondotto all’incidente avvenuto a ottobre nella miniera canadese di Cigar Lake, che potrebbe a piena capacità produrre 8.200 tonnellate l’anno di uranio, pari a circa un sesto di tutto il metallo che viene estratto oggi nel mondo.

E le alte scorte? Secondo l’Abare, il centro di ricerca economica del governo australiano, per una decina d’anni non dovrebbero esserci grandi problemi, ma per il periodo successivo le previsioni paiono meno certe e concordano con l’Agenzia internazionale per l’energia che prevede risorse sufficienti a soddisfare la domanda fino al 2030. Non è dello stesso avviso Steve Kidd della World nuclear association, che prevede invece entro il 2030 una domanda di uranio di 160mila tonnellate a fronte di una capacità estrattiva al massimo di 75mila tonnellate.

Quanto all’uranio secondario poi, le scorte sono già in calo perché si stanno consumando le scorte militari provenienti dalle armi accumulate negli anni della guerra fredda e rese disponibili dai programmi di smantellamento delle armi atomiche: sempre secondo Kidd sarà già tanto ricavarne 25mila tonnellate. A quel punto le quotazioni dell’uranio saranno prevedibilmente schizzate al pari del prezzo del barile di petrolio, che oggi preoccupa l’intera economia mondiale anche più delle conseguenze delle emissioni di anidride carbonica e dei cambiamenti climatici.

Ma non dovrebbe l’energia nucleare toglierci dalla dipendenza delle fonti di approvvigionamento? E non dovrebbe costare meno di quella prodotta con le fonti fossili? Forse sarebbe il caso di pensare già adesso a qualcosa di alternativo. A partire da un vero risparmio energetico, senza per altro rinunciare a gran parte delle comodità di cui adesso disponiamo. E tra l’altro già questo basterebbe anche a far scendere i costi in bolletta.

Torna all'archivio