[27/12/2006] Energia

Nigeria: 500 morti e quattro rapiti parlano anche a noi?

LIVORNO. Ennesima tragedia quella che si è concretizzata in Nigeria, la notte del 26 dicembre. Centinaia di persone carbonizzate (269 secondo quanto riferito dalla Croce Rossa, forse 500 quelle reali) sono state trovate accanto all´oleodotto di Lagos, nel popoloso quartiere di Abule Egba. Le vittime si erano affollate per raccogliere il petrolio che fuoriusciva da una conduttura che attraversa il paese e nella quale pare che alcuni “ladri” avessero aperto una falla per portare via il carburante. E’ bastata una scintilla per provocare l’esplosione e poi le fiamme che hanno immediatamente avvolto le centinaia di persone accorse per portare via qualche tanica di greggio, carbonizzandole. Sessanta feriti sono stati portati all´ospedale con gravissime ustioni.
Ma fonti della Croce Rossa hanno detto che "il numero dei feriti rischia di essere molto più elevato" perché tra questi sono in molti a nascondersi per timore di finire nelle mani della giustizia.

Era già successo nell’estate del 2003 e allora morirono nello stesso modo oltre 400 persone. E purtroppo non sarà l’ultima volta che accade una simile tragedia, in un paese in cui si incrociano 5000 chilometri di condutture petrolifere, che spesso non hanno nemmeno bisogno che qualcuno le manometta perché vi siano delle falle dalle quali sgorga quell’oro nero che è fonte di ricchezza per le cinque compagnie petrolifere presenti in Nigeria, ed è al contrario origine di povertà, di malattie e di morte per la gran parte della popolazione del delta del Niger.

La tragedia di Lagos è infatti la quotidiana condizione di vita di persone che pur avendo nel sottosuolo ingenti riserve di greggio deve incessantemente fare i conti con un mancato sviluppo, un debito che cresce di giorno in giorno, devastazioni ambientali e conflitti tra bande responsabili di violenze quotidiane spesso rivolte verso le stesse compagnie petrolifere, ma sempre di più anche nei confronti della popolazione locale.

Tra le compagnie presenti anche l’Agip, che proprio in questi giorni sta portando avanti le trattative per liberare i tre tecnici rapiti i primi giorni di dicembre dai gruppi del Mend, una delle principali organizzazioni che rivendica, con la pratica delle violenze e dei rapimenti, una migliore ripartizione dei profitti che il governo nigeriano ottiene dallo sfruttamento del petrolio, attraverso la joint venture composta dalla Nigerian national petroleum corporation e da altre cinque compagnie straniere (in ordine d´importanza Shell, ChevronTexaco, Agip, Exxonmobil e TotalFinaElf).

Mentre le multinazionali petrolifere continuano ad arricchirsi, senza mettere in atto nemmeno le minime condizioni di tutela e sicurezza agli impianti, il debito del Paese aumenta, le popolazioni locali rimangono povere e delle loro terre viene fatto scempio in maniera indiscriminata. Anche il gas naturale collegato all´estrazione del greggio (gas flaring) viene bruciato a cielo aperto, tanto che il panorama del delta del Niger è caratterizzato da continue fiamme alte decine di metri, causa di ricorrenti esplosioni che immettono nell’aria circostante e poi in atmosfera, sostanze inquinanti e nocive per la salute e l’ambiente. Causa di malattie tra la popolazione dei villaggi, piogge acide e non ultimo un consistente contributo all’effetto serra (sarebbero ben 70 milioni all’anno le tonnellate di Co2 immesse in atmosfera dall’estrazione del greggio operato in questa regione).

Secondo la corte nigeriana, il gas flaring «va contro il diritto alla vita, alla salute e alla dignità». Ma dove sono questi diritti nei confronti di una popolazione costretta a morire per “rubare” a chi la depreda da anni della propria ricchezza offrendo in cambio solo disperazione, scempio e miseria?

A chi importa nei fatti se i nigeriani che abitano la regione di acquitrini e lagune nel delta del Niger, dove si estraggono 2,1 milioni di barili di greggio al giorno, di cui 1,9 milioni sono esportati, rimangono a terra come cerini carbonizzati?

Chi si preoccupa di una popolazione costretta a sopravvivere a fianco di una attività svolta da stranieri, che è fonte di sversamenti e perdite, bitume disseminato sui terreni non più coltivabili nemmeno per far fronte al proprio sostentamento, e nelle lagune dove non è più possibile pescare, impianti e oleodotti difettosi che perdono greggio senza nemmeno bisogno di creare falle ad hoc, aria irrespirabile perché le compagnie presenti non si curano nemmeno di recuperare quel gas che si associa all’estrazione di greggio, tanto è alto il profitto che ne traggono da potersi permettere il lusso di sprecarlo?

«Perché, in fondo in fondo, ciò che vanno veramente cercando è l’affare, i profitti d’impresa. La legge che domina è quella. È il libero mercato, bellezza...» Ce lo ha ricordato anche Fabrizio Giovenale, nel suo ultimo scritto. Ma il mercato non è la più grande costruzione sociale operata dall´uomo? E perchè ne abbiamo perso coscienza? Forse che la Cina e l´India, nei loro diversi percorsi e diversamente giudicabili, non stanno proprio a dimostrare che si possono ignorare le ideologie liberiste del FMI e della Banca Mondiale e crescere (con tutti gli squilibri che ciò comporta) lo stesso? E perchè non dovrebbe, allora, essere possibile un percorso di sostenibilità sociale e ambientale? E perchè gli azionisti di Agip (lo Stato Italiano) lo ignorano nonostante le belle pagine del programma dell´Unione?

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