I ratti commerciano prodotti e servizi. Una società sorprendentemente sofisticata

Tra gli animali non umani il commercio reciproco potrebbe essere diffuso molto più di quanto si pensi

[8 Febbraio 2018]

Con lo studio “Reciprocal Trading of Different Commodities in Norway Rats”, pubblicato su Current Biology, Manon Schweinfurth e Michael Taborsky dell’Institut für Ökologie & Evolution dell’Universität Bern, hanno dimostrato per la prima volta in un esperimento che anche animali non umani si scambiano diversi tipi di favori. Comunemente, gli esseri umani commerciano commodities diverse, cosa considerata una competenza fondamentale della nostra specie, ma questa capacità non è esclusivamente umana: anche i ratti marroni (rattus norvegicus – o ratto grigio,  ratto norvegese, ratto delle chiaviche, surmolotto o pantegana) si scambiano prodotti diversi.

All’università di Berna spiegano che «Seguono rigorosamente il principio “tit for tat” – anche quando pagano con valute diverse, come la toelettatura o il rifornimento di cibo. Gli esseri umani collaborano l’uno con l’altro su base giornaliera e su scale diverse. Cooperiamo, ad esempio, aprendo la porta per gli altri, suonando sinfonie, costruendo navicelle spaziali o sviluppando schemi per ridurre il riscaldamento globale. Sebbene un alto livello di cooperazione sia il nostro marchio, la cooperazione non è unicamente umana. Anche molti animali si aiutano a vicenda, come le api che gestiscono il loro alveare. La cooperazione umana segue spesso la strategia reciproca “Ti aiuto perché mi hai aiutato prima”. Si è affermato che tale cooperazione reciproca richiede cognitivamente, specialmente quando si scambiano merci diverse. Il commercio di merci diverse è una componente fondamentale delle interazioni umane, consentendo ad esempio la divisione del lavoro, che è la base del nostro successo ecologico ed economico. E’ stato sostenuto che le elevate esigenze cognitive di tale commercio possono ostacolare la cooperazione negli animali non umani. Al contrario, diversi studi su animali selvatici hanno suggerito uno scambio di diverse commodities, ma finora questo non era stato esaminato da manipolazioni controllate del comportamento dei soggetti di test».

Ci hanno pensato la Schweinfurth e Taborsky che con uno studio sperimentale hanno  verificato se i ratti delle chiaviche attuano il reciproco scambio di due diverse forme di aiuto: l’allogrooming (la pulizia reciproca della pelliccia presente in molti mammiferi) e l’approvvigionamento alimentare.

Il loro studio si basa su esperimenti condotti in laboratorio che hanno permesso di controllare attentamente e di registrare dettagliatamente le diverse variabili di causa-effetto degli scambi di cibo e di cura tra 37 coppie di ratti norvegesi. L’ambiente ricreato è stato importante: altri ricercatori avevano fatto ipotesi simili sui ratti e su altre specie ma, ad eccezione dei primati, queste affermazioni erano basate su osservazioni che lasciavano dubbi sul fatto che fossero coinvolti altri principi non cooperativi.

I ratti che hanno partecipato al test hanno sperimentato un partner che cooperava o non cooperava in una delle due commodities. Per indurre l’allogrooming, i ricercatori svizzeri hanno applicato dell’acqua salata sul collo dei ratti del test, una zona del corpo difficilmente accessibile per l’’auto- grooming e per la cui pulizia è quindi necessario l’aiuto di un partner. Per indurre il rifornimento di cibo, i ratti partner potevano spingere gli alimenti verso i ratti del  test. Successivamente, i ratti del test hanno avuto l’opportunità di contraccambiare i favori ricevuti con un servizio alternativo: l’allogrooming del partner che aveva fornito del cibo o donando cibo dopo essere stato toelettato. I due ricercatori dell’università di Berna dicono che «I ratti del test erano disposti più spesso a cooperare rispetto ai fornitori di alimenti non cooperanti e donavano il cibo più spesso ai partner che li avevano ben puliti prima. Apparentemente, si sono scambiati tra loro questi due servizi secondo la regola della decisione della reciprocità diretta».  Secondo la Schweinfurth, «Questo risultato indica che il commercio reciproco tra animali non umani può essere diffuso molto più di quanto si pensi attualmente. Non è limitato alle specie con grandi cervelli con avanzate capacità cognitive », afferma Manon Schweinfurth. «Questo risultato indica che il commercio reciproco tra gli animali non umani può essere molto più diffuso di quanto si pensi attualmente. Non è limitato alle specie con grandi cervelli e con avanzate capacità cognitive».

Schweinfurth e Taborsky ricordano che «La prevalenza della cooperazione reciproca in animali non umani» diversi dai primati è stata «oggetto di accesi dibattiti», ma i risultati sono stati chiarissimi: i ratti del loro test si sono infatti impegnati in scambi reciproci, di mutuo beneficio, basati su regole per i diversi tipi di favori. Le implicazioni sono molte: «Questa capacità non è quindi limitata ai primati, ma potrebbe aver avuto origine molto prima durante l’evoluzione dei vertebrati – dicono Schweinfurth e Taborsky – Il complesso commercio di beni e servizi potrebbe essere diffuso in natura», coinvolgendo non solo il cibo e il grooming, ma anche il territorio, l’assistenza nei conflitti, l’aiuto con i cuccioli e quant’altro sia importante per gli animali coinvolti.

Come scrive Ian McFarlane su Anthropocene, «Questa possibilità – questo consapevolezza che ci siano altri animali impegnati in relazioni sociali non così diverse dalle nostre – aggiunge nuovi livelli al nostro apprezzamento per il mondo non umano. Arriva anche in un momento opportuno: nel bel mezzo delle discussioni catalizzate dal concetto di Antropocene, l’epoca dell’impatto umano onnipresente, e sul fatto se le persone continueranno a vedere gli umani come distanti sull’albero della vita o pronti a condividere le caratteristiche che apprezziamo in noi stessi con molti altri esseri. Per quanto riguarda i ratti, la cui resilienza alla persecuzione umana potrebbe essere in parte radicata nella sofisticata cooperazione descritta da Schweinfurth e Taborsky, forse alla fine impareremo a vederli sotto una nuova luce».

La Schweinfurth conclude: «I miei studi sottolineano che si tratta di individui socialmente consapevoli che riconoscono individualmente gli altri, mostrano un contagio emotivo, imparano gli uni dagli altri, si aiutano reciprocamente. Tutto questo deve essere considerato quando li teniamo nei laboratori, come animali domestici o quando cerchiamo di sbarazzarcene nelle città».